Un nuovo studio dimostra il preoccupante (e ormai decennale) fenomeno della contaminazione ambientale da plastica a ogni angolo del Pianeta.
Un nuovo studio dimostra il preoccupante (e ormai decennale) fenomeno della contaminazione ambientale da plastica a ogni angolo del Pianeta
Non c’è angolo del Pianeta che non sia contaminato dalle sostanze inquinanti prodotte dall’azione dell’uomo. Tuttavia, mentre l’impatto di alcune di queste (come piombo o fuliggine) sta diminuendo grazie alle normative internazionali che prevedono una drastica riduzione delle loro emissioni, altri si stanno imponendo in maniera prepotente.
È il caso della plastica, un materiale altamente inquinante e difficilmente degradabile, che resta nell’ambiente anche per decenni: anche se in apparenza si disperde nell’ambiente per effetto dei fenomeni atmosferici o dell’erosione naturale, in realtà si scompone semplicemente in minuscole particelle (le microplastiche), paradossalmente più inquinanti ancora del materiale originario. Esse infatti, date le loro dimensioni ridotte (inferiori a 5 mm), possono percorrere grandi distanze trasportate dall’acqua e dal vento e finire in posti lontanissimi da quelli in cui si sono originate.
Ancor più pericolose sono le nanoplastiche (particelle di plastica di dimensioni inferiori al micrometro): sono ancor più piccole e leggere, e sospinte dal vento possono raggiungere e contaminare ogni angolo del Pianeta. Tuttavia, mentre le traiettorie e gli effetti dannosi (per l’ambiente e la salute) delle microplastiche sono state già oggetto di numerosi studi scientifici, poco ancora si sa sulle conseguenze provocate dalle minuscole nanoplastiche: nessuna ricerca è stata infatti ancora condotta sui danni di queste particelle per la salute umana.
(Leggi anche: Le nanoplastiche alterano il microbioma intestinale e sono una minaccia per la salute umana. Lo studio spagnolo)
Un nuovo studio recentemente pubblicato i ricercatori hanno studiato per la prima volta la contaminazione delle acque dei Poli provocata dalla presenza di nanoplastiche. Per fare ciò hanno analizzato un campione della calotta glaciale della Groenlandia e uno del ghiaccio marino dell’Antartide. I risultati non sorprendono, purtroppo: sono state individuate tracce di polietilene (PE), polipropilene (PP), polietilene tereftalato (PET), polistirene (PS), cloruro di polivinile (PVC) e nanoparticelle di usura dei pneumatici nel campione della Groenlandia; polietilene, polipropilene e polietilene tereftalato nel ghiaccio marino dall’Antartide.
Ciò che ha sorpreso i ricercatori è stata la presenza, nel campione recuperato in Groenlandia, di nanoplastiche risalenti ad almeno 50 anni fa (particelle di vecchi pneumatici di auto) – un segnale evidente di quanto l’inquinamento di origine antropica vada avanti ormai da decenni. Il campione di ghiaccio groenlandese era profondo 14 metri, e quindi conteneva al suo interno anche strati di neve risalenti agli anni ’60 (ricoperti poi dalle nevicate degli anni successivi): la stratificazione del manto nevoso ha permesso alle nanoplastiche dell’epoca di conservarsi nel ghiaccio. Quindi, sebbene le nanoplastiche siano considerate un nuovo inquinante, in realtà esistono da decenni.
Abbiamo rilevato nanoplastiche negli angoli più remoti della Terra, nelle regioni polari sia meridionali che settentrionali – spiega Dušan Materić, autore della ricerca. – Le nanoplastiche sono molto tossicologicamente attive rispetto, ad esempio, alle microplastiche, ed ecco perché questo è molto importante.
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Fonte: Environmental Research
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