Moria dei pesci nel Tevere: i pesticidi sembrano non essere l’unica causa. Anzi, su quanto provochi queste morti rimane un mistero.
Un pericoloso rimpallo di responsabilità rischia di generare una situazione invivibile e igienicamente insostenibile
Ci eravamo lasciati una settimana fa, quando centinaia di pesci galleggiavano morti sulle acque del fiume Tevere a Roma. Una moria che si verifica di frequente e che in molti imputano ai veleni che finiscono nell’acqua. Ma i pesticidi sembrano non essere l’unica causa. Anzi, su quanto provochi queste morti rimane un mistero, mentre le carcasse sono ancora lì a generare olezzi disgustosi e pericolosi.
I primi avvistamenti della moria di quest’anno ci furono proprio lo scorso 26 agosto, al largo del litorale a nord di Roma e sulla costa di Fregene e Maccarese. Poi, si sono registrati lungo gli argini del Tevere fino a Ponte Marconi e poi ancora nel tratto di fiume che passa vicino a Castel Sant’Angelo.
E non solo: nella darsena del porto di Fiumicino, vicino a uno dei due bracci della foce del Tevere, sono stati recuperati ben sei quintali di pesci morti. Una gran quantità di pesci senza vita, soprattutto carpe, cefali e pesci siluro, che nella maggior parte dei casi è lasciata lì a marcire, generando odori nauseabondi.
Ma perché accade ciò?
Le prime ipotesi per spiegare la moria erano arrivate dal WWF Roma e Area metropolitana, secondo cui la causa più probabile sarebbero state le sostanze chimiche utilizzate nelle campagne che con le piogge sarebbero state portate a valle concentrandosi nei fiumi:
Moria di #pesci lungo il Tevere @Roma.Con le piogge di fine estate arrivano al fiume
tutti i #veleni che inquinano le nostre campagne. Maggini:“Ci risiamo.Ogni anno moria di pesci favorita dalle tante sostanze chimiche utilizzate nelle nostre campagne https://t.co/TGEEnWtYGh pic.twitter.com/s37OciiB9R— WWF Roma (@WWF_Roma) August 27, 2021
Ma la Polizia fluviale ritiene piuttosto che la causa sia da ricercare nei metalli e negli idrocarburi depositati sulle strade dai gas di scarico, che si sono accumulati durante i periodi di siccità e che sono stati poi lavati via dai temporali di fine agosto e finiti nel Tevere.
Ma anche su questo aspetto c’è molto da verificare.
Le analisi dell’ARPA Lazio
A non chiarire ulteriormente il quadro ci pensa anche l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, che ha rilevato campioni di acqua e pesci morti a fine agosto. Ebbene, nulla di nuovo:
I dati provvisori ottenuti e le misure effettuate in campo non hanno evidenziato fino al momento particolari criticità. Infatti le misure in campo hanno mostrato una normale presenza di ossigeno disciolto e le analisi chimiche e microbiologiche non si discostano in modo significativo dai dati generalmente riscontrati durante le attività di monitoraggio del fiume – si legge nella relazione rilasciata dall’Arpa Lazio. In particolare i parametri: ammoniaca non ionizzata, cianuri, e anche il carico di materiale organico appaiono sostanzialmente nella norma.
Come a dire, quindi, che rimane il mistero.
Per comprendere meglio il fenomeno, la stessa Arpa porta in evidenza un confronto con i due eventi di “moria ittica” del 2020 avvenuti nello stesso tratto del fiume il 30 e il 31 maggio e il 4 e 5 luglio, “in giorni immediatamente successivi a intensi fenomeni piovosi preceduti da un periodo di relativa siccità“.
Anche quest’anno, la moria è avvenuta a circa 48 ore di distanza dalla bomba d’acqua che interessò la Capitale il 24 agosto, dopo un periodo di magra del Tevere.
Per l’Agenzia si potrebbe quindi pensare a un meccanismo simile a quello di un anno fa:
Dopo un periodo di siccità – si legge nel comunicato – intense ed improvvise precipitazioni possono in breve tempo convogliare nel corpo idrico recettore una notevole quantità di sostanza organica dilavata dai terreni, fossi di scolo e piccoli tributari. La degradazione della sostanza organica convogliata repentinamente e in quantità massicce nel corpo idrico recettore può generare una forte sottrazione dell’ossigeno disciolto nell’acqua, facendone crollare la concentrazione e causando anossia dei pesci.
Si parla insomma di mancanza d’ossigeno, ma non di sostanze inquinanti arrivate dai terreni.
Intanto, le centinaia di carcasse di pesci morti sono ancora lì e nessuno le muove. Lo scaricabarile è cominciato già da un po’ e di mezzo ci vanno abitanti e ristoratori.
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Fonti: WWF Roma e Area Metropolitana / ARPA Lazio
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