In memoria della nonna trucidata per aver difeso l’ambiente contro le lobby del carbone in Sudafrica

La coraggiosa avvocatessa sudafricana Kirsten Youens chiede giustizia per la morte della nonna che lottava contro la miniera di carbone di Tendele

“Mi sono rifiutato di firmare. Non posso vendere la mia gente. E se necessario, morirò per il mio popolo “. Tragicamente, le parole di nonna Fikile Ntshangase sono diventate realtà quando è stata uccisa a colpi di arma da fuoco nella sua casa di Ophondweni, vicino a Mtubatuba, la sera del 22 ottobre 2020. Ora una coraggiosa avvocatessa sta cercando di fare giustizia per lei e di fermare l’espansione di una grande miniera di carbone a Somkele nel KwaZulu-Natal della Tendele Coal Mining (Pty) Ltd, al fianco della comunità locale Somkhele

Mentre dal 2007 le agenzie di credito all’esportazione e le banche di esportazione di Germania, Francia e Svezia hanno economicamente sostenuto l’espansione dell’industria del carbone in Sudafrica (condannando il paese a decenni di dipendenza dal combustibile fossile tramite la garanzia di crediti all’esportazione e la fornitura di macchinari, know-how e attrezzature), la coraggiosa avvocatessa sudafricana Kirsten Youens vuole invertire la tendenza.

Specializzata in diritto ambientale, Youens dirige l’organizzazione no-profit per la giustizia climatica AllRise ed è rappresentante legale della comunità Somkhele — una comunità rurale della provincia sudafricana sudorientale di KwaZulu-Natal — i cui membri si stanno mobilitando per opporsi al progetto di espansione di una miniera di carbone a cielo aperto, situata proprio nei pressi dell’antica riserva naturale di Hluhluwe-iMfolozi. Il parco, noto per la presenza di molte specie di fauna e per le attività di conservazione ambientale, è stato istituito nel lontano 1895 ed è la più antica riserva di caccia in Africa. Inoltre, merito del parco è aver salvato il rinoceronte bianco dall’estinzione.

L’uccisione dell’attivista ambientale Somkhele, “nonna” Fikile Ntshangase

La comunità locale si batte ormai da anni per interrompere i lavori di espansione del sito minerario nella provincia di KwaZulu-Natal ed ha presentato il controverso caso di fronte alla Suprema Corte d’Appello del Sudafrica. Il 22 ottobre 2020, Fikile Ntshangase, attivista di 65 anni, è rimasta uccisa, colpita a morte da un commando di quattro uomini armati che hanno aperto il fuoco mentre era all’interno della sua abitazione, dove viveva con il nipotino di 11 anni. Ntshangase, appartenente alla Mfolozi Community Environmental Justice Organisation (MCEJO), una delle organizzazioni che ha presentato appello alla Suprema Corte, era anche un’attivista di spicco all’interno del movimento civile che si opponeva all’espansione della miniera di antracite nei pressi del confine con Hluhluwe-Imfolozi.

L’assassinio getta luce sul preoccupante clima di violenza e ritorsioni che opprime non solo la comunità Somkhele, ma anche le altre comunità del Sudafrica (ad esempio, i Fuleni) che non accettano la realizzazione di operazioni di estrazione mineraria nei propri territori.

La contestata miniera che ha distrutto un’intera società

La miniera di carbone della società Tendele Coal Mining (Pty) Ltd ha iniziato ad operare nel 2007 nel distretto di uMkhanyakude (uno degli 11 distretti della provincia di KwaZulu-Natal) senza curarsi dell’impatto ambientale e dei diritti ambientali − quali il diritto all’acqua potabile, alla terra, ad un degno all’alloggio, e alla vita stessa − di migliaia di residenti dell’area. Le risorse idriche della zona, già scarse, sono state inquinate o distrutte perché la miniera di carbone di Somkhele usa le acque sotterranee per lavare il carbone; inoltre, le recinzioni dei terreni impediscono al bestiame di pascolare; l’inquinamento da polveri sottili ha rovinato colture e pascoli; e le frequenti esplosioni hanno danneggiato abitazioni e fatto cadere in frantumi i vetri delle finestre di parecchie case. Durante gli espropri forzati dei terreni, alcune tombe furono riesumate e i corpi seppelliti altrove senza lapidi, lasciando i familiari dei defunti senza riferimenti per identificare i propri cari.

Come raccontato da Youens, l’ondata distruttiva portata dall’industria del carbone ha generato tensioni sociali e ha lacerato irrimediabilmente il tessuto sociale della comunità di Somkhele. Sono sorti conflitti interni alla comunità tra coloro che sono disposti ad accettare somme di denaro in cambio del trasferimento e coloro che non vogliono abbandonare le proprie case; tra quelli che sono impiegati dalla miniera e quelli che non lo sono; tra quelli che hanno ottenuto una qualche forma di compensazione e quelli a cui è stata negata.

“Una comunità che conosce i propri diritti può anche difenderli”

Le ingiustizie politiche, socio-economiche e ambientali che quella comunità è costretta a subire in nome di un presunto processo di “sviluppo” hanno convinto l’avvocatessa sudafricana ad agire, da un lato, per fornire concreta assistenza legale ai membri della comunità e, dall’altro, per difendere il loro diritto a un ambiente che non sia dannoso per la salute e il benessere umani.

Comunità consapevoli dei propri diritti e ben informate su tali diritti sono spesso ritenute “scomode” da chi detiene il potere − osserva Youens, che intende far valere il loro diritto ad essere adeguatamente consultati; il loro diritto a prestare un consenso libero, preventivo e informato; il loro diritto a respirare aria pulita e a bere acqua potabile; e infine, e non da ultimo, il loro diritto a possedere la propria terra.

Per questi motivi, l’avvocatessa rappresenta la Mfolozi Community Environmental Justice Organization (MCEJO), un’organizzazione comunitaria basata a Somkhele. Nelle prime riunioni, Kirsten Youens ha spiegato alla comunità non solo il processo legale che porta alla concessione dei diritti minerari e alla relativa autorizzazione ambientale, ma ha anche sottolineato che la comunità locale avrebbe dovuto partecipare alle consultazioni pubbliche invece di essere totalmente ignorata dai diversi portatori di interesse coinvolti nel progetto minerario.

In tema di espropri, Youens ha tenuto una serie di seminari sui diritti fondiari, sul ruolo dell’Ingonyama Trust Board (che amministra la terra tradizionalmente di proprietà del popolo Zulu) e sul diritto di dire “no” all’esproprio della terra. Fino a quel momento, nessun membro della comunità locale conosceva la normativa in materia. Erano stati semplicemente avvisati di abbandonare l’area dove sarebbero sorti i pozzi minerari, in cambio di denaro, che andava accettato per forza, per non perdere tutto. Non era quindi possibile restare. Invece chi viveva a soli 500 metri dal sito non aveva bisogno di trasferirsi e quindi non aveva diritto ad essere risarcito per l’avvenuto esproprio dei terreni di proprietà, ma solo per l’eventuale demolizione di edifici.

Ora i residenti locali hanno un’arma in più per superare il muro di paura e reagire.

Fonti: Global Citizen.org/  Fidh

Leggi anche: L’industria del carbone non si riprenderà mai più dopo la pandemia di coronavirus

 

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook