Nel miele degli Usa vi sono ancora tracce di Cesio-137, isotopo radiattivo prodotto dai test nucleari condotti durante la Guerra Fredda
Il miele prodotto negli Usa contiene ancora oggi residui radioattivi che derivano dai test nucleari condotti negli anni ’50 e ’60, ai tempi della Guerra Fredda. Lo rivela un nuovo studio che specifica però come non vi siano rischi per la salute.
Le azioni dell’uomo possono avere ricadute a lungo termine sul Pianeta, un esempio per tutti sono le conseguenze dell’utilizzo del nucleare (oggi sono 35 anni dal disastro di Cernobyl e i terribili effetti sono ancora sotto gli occhi di tutti).
Ma avreste mai pensato che anche nel miele si potessero trovare residui radioattivi?
È quanto ha scoperto un nuovo studio che rivela come il miele americano contenga ancora tracce radioattive derivanti dai test nucleari condotti decenni fa. Gli scienziati del College William & Mary che hanno guidato lo studio, sono riusciti a trovare l’isotopo radioattivo Cesio-137 in una serie di campioni di miele statunitense.
Il Cesio-137 è un sottoprodotto della fissione lanciato da centinaia di test nucleari diversi decenni fa. Sulla scia della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti, l’ex Unione Sovietica e altri paesi hanno fatto esplodere centinaia di bombe nucleari che hanno espulso appunto il cesio nell’alta atmosfera. I venti lo hanno poi disperso un po’ ovunque prima che le particelle microscopiche si depositassero a terra, soprattutto attraverso la pioggia.
La diffusione non è stata uniforme e ha interessato in particolare la costa orientale degli Stati Uniti.
Il Cesio-137 ha un’emivita (tempo in cui decade metà della massa iniziale) di 30 anni ma ancora oggi si trovano tracce in circolazione nell’ambiente. Il Cesio, tra l’altro, è solubile in acqua e le piante possono scambiarlo per potassio, un nutriente vitale. Non a caso, i campioni di miele più contaminati sono risultati quelli provenienti da zone in cui i terreni erano più poveri di potassio, il che spinge le piante ad assorbire più Cesio-137.
Proprio per vedere se e in che misura le piante continuano ancora oggi ad assorbire questo contaminante nucleare, James Kaste, un geologo del College of William & Mary a Williamsburg, in Virginia, ha assegnato ai suoi studenti universitari un incarico: riportare cibi locali dai luoghi delle loro vacanze di primavera per testare il livello di Cesio. A sorpresa, un campione di miele presentava tracce 100 volte maggiori degli altri alimenti.
Si è deciso così di fare un test specifico proprio sul miele e sono stati utilizzati 122 campioni, tutti provenienti dagli Stati Uniti orientali.
I risultati hanno rivelato che, a migliaia di chilometri dal sito della bomba più vicina e più di 50 anni dopo il loro utilizzo, la ricaduta radioattiva sta ancora interessando piante e animali.
Le tracce dell’isotopo radiattivo sono state evidentemente assorbite dalle api che le hanno poi inevitabilmente trasferite nel miele.
68 dei 122 campioni di miele americani analizzati contenevano Cesio-137 ma a livelli ben al di sotto rispetto a quelli considerati dannosi dalle linee guida della FDA statunitense. Si tratta comunque di un dato che fa riflettere su quanto la ricaduta radioattiva possa persistere nell’ambiente.
E, sebbene oggi i livelli di radioattività non siano pericolosi, potrebbero essere stati molto più alti negli anni ’70 e ’80, affermano i ricercatori. Periodo in cui, con grande probabilità, la radioattività era ancora dannosa per le api e per chi consumava il loro miele.
Tra l’altro, i risultati sollevano interrogativi su un possibile impatto del cesio sulla salute delle api nell’ultimo mezzo secolo, ha affermato Justin Richardson, biogeochimico presso l’Università del Massachusetts, ad Amherst.
Il nuovo studio non ha lanciato alcun allarme sul consumo di miele odierno ma, come ha dichiarato Thure Cerling, geologo dell’Università dello Utah, può essere comunque molto utile:
“capire come si muovono i contaminanti nucleari è ancora vitale per misurare la salute dei nostri ecosistemi e della nostra agricoltura. Dobbiamo prestare attenzione a queste cose”
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications.
Fonte: Science / Nature Communications
Leggi anche: