Il mercato ne vuole sempre di più ma l’ambiente soffre: la crescente domanda di mezcal, distillato simile alla tequila, sta sfruttando eccessivamente i terreni e i produttori sono in allarme: lo stress sulle piantagioni di agave è davvero pericoloso
In tutto il mondo cresce la domanda di mezcal, un distillato “cugino” della tequila, e i terreni sono ai limiti: i produttori lanciano allarmi sullo sfruttamento eccessivo delle piantagioni di agave, da cui si ricava la bevanda.
Come riferiva Forbes lo scorso mese di maggio, il 63,17% della produzione totale di mezcal è destinato all’esportazione, con un valore di 5.433 milioni di pesos (oltre 2 miliardi e mezzo di euro); il resto è riservato al consumo nazionale (solo nel primo trimestre del 2022 sono stati esportati quasi 2 milioni di litri.
Secondo le stime del Mexican Council for Regulatory Quality del Mezcal (Comercam) l’industria del mezcal in Messico e ha registrato nel 2019 un aumento del 173% rispetto al 2018, con una produzione che ha raggiunto 7,4 milioni di litri, il che rappresentava un aumento di 30% rispetto all’anno precedente.
Nel corso del 2020, anno in cui l’emergenza sanitaria ha colpito anche il Messico, la produzione della bevanda non è diminuita, ma nemmeno aumentata. Nel 2021, invece, le esportazioni sono cresciute del 7% e la produzione di circa il 3,2%: sono stati infatti imbottigliati quasi 8 milioni di litri di mezcal.
L’industria del mezcal genera annualmente circa 16.000 posti di lavoro diretti e circa 48.000 posti di lavoro nell’indotta a Oaxaca e il mercato globale del mezcal può superare 1 miliardo di euro in tre anni.
Gli Stati Uniti sono il principale consumatore di mezcal al di fuori del Messico ma anche in Europa cresce l’interesse per questa bevanda: secondo il Mezcal Regulatory Council e il governo di Oaxaca il mezcal viene esportato infatti in 64 paesi, tra cui Spagna, Francia e Inghilterra.
Dal punto di vista economico un successo. Ma non per l’ambiente
Credo che questa eccessiva domanda che arriva dai mercati nazionali e internazionali abbia delle conseguenze – spiega all’Ansa Sosima Olivera, che produce mezcal alla Tres Colibries (Tre colibrì) a Villa Sola de Vega, nello stato di Oaxaca – Se vengono richieste più piante, ovviamente c’è più sfruttamento del territorio, dei paesaggi, della biodiversità, dell’acqua, della legna da ardere. In fondo, tutto diventa lavorare per un mero interesse economico
In Messico si cerca di preservare la tradizione, che prevede l’utilizzo della sola parte centrale dell’agave, che viene tagliata e lavorata solo tra i sei e gli otto anni di vita per la produzione della bevanda.
La nostra preoccupazione per il futuro – dice la produttrice Graciela Angeles – è cosa accadrà alla diversità biologica che è alla base nel mondo del mezcal: si fanno pochissimi sforzi per conservare queste specie di agave. L’aggravante è che sono piante con un periodo vegetativo molto lungo e di conseguenza i ritmi di produzione non possono essere accelerati
Ce lo domandiamo anche noi: cosa accadrà?
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