Il dossier di New Economics Foundation e di Ocean2012 ha rivelato che in Italia dal 30 aprile per il cosnumo di pesce siamo dipendenti dalle importazioni. Anche il resto dell'Europa condivide tale sorte
Mediterraneo saccheggiato e sempre meno pescoso. È questa la fotografia che ha mostrato il dossier Fish Dependence Day, presentato dalla New Economics Foundation (Nef) e da Ocean2012. Secondo quanto è riportato nel rapporto, lo scorso 30 aprile abbiamo mangiato l’ultimo pesce italiano, ponendo fine alla quantità di pesce nostrano per il 2011.
Da adesso fino alla fine dell’anno, dunque, stando alle stime e alla media fornita dal dossier, il nostro consumo di pesce dipenderà esclusivamente dalle importazioni. Si tratta com’è ovvio di un calcolo statistico che misura lo sfruttamento dei nostri mari, sempre più poveri, e la conseguente dipendenza dalle importazioni.
Secondo quanto riporta Ocean2012, il rapporto ha mostrato alcuni punti nevralgici del consumo di pesce:
- Basandosi sui livelli delle importazioni e dei consumi registrati dal 2007, se l’UE consumasse solo il pesce proveniente dalle proprie acque, esaurirebbe i suoi stock ittici il 2 luglio, diventando dal giorno dopo totalmente dipendente dal pesce importato dal resto del mondo.
- Dal 2000, il Fish Dependence Day dell’UE arriva sempre prima nell’arco dell’anno, oggi ciò avviene quasi un mese prima, causando una sempre più forte dipendenza dai prodotti ittici di importazione.
- Per alcuni Stati Membri, il giorno esatto a partire dal quale diventano dipendenti dal pesce di importazione è: Spagna, 8 maggio; Portogallo, 26 aprile; Francia, 13 giugno; Germania, 27 aprile; Italia, 30 aprile; Regno Unito, 16 luglio.
- Lo sviluppo dell’acquacoltura ha fallito nel cercare di bloccare la crescente dipendenza dal pesce importato. Gli effetti del sovrasfruttamento degli stock ittici europei – e di conseguenza della disponibilità di pesce nei mercati e sugli scaffali dei supermercati – sono mascherati dall’aumento delle importazioni di pesce proveniente da altri mari.
Nel mondo. Fra il 1960 e il 2007, in quasi 50 anni, il consumo di pesce mondiale si è quasi raddoppiato, salendo dai 9.0 ai 17.1 kg pro-capite annuali.
In Europa. Stando alle cifre riportare dal dossier, in media ogni cittadino Europeo consuma oltre 22 kg di prodotti ittici annui. Tale quantità, decisamente in crescita, si scontra con la diminuzione degli sbarchi e del pescato. Infatti, mentre nel 2007 il totale delle catture nelle acque comunitarie era di circa 4 milioni di tonnellate, il 38 per cento del consumo totale di pesce (10,7 milioni di tonnellate), appena due anni prima, ammontava a 5,4 milioni di tonnellate di pesce, oltre la metà del consumo annuale che allora era pari a 9,3 milioni di tonnellate. Secondo la FAO, inoltre, il consumo di pesce pro-capite in Europa è destinato a salire.
E in Italia. Anche l’Italia non è messa bene. Nel corso dell’ultimo anno, il livello di autosufficienza è sceso dal 34,3 al 32,9 per cento. Di conseguenza, è aumentata la dipendenza dalle importazioni di pescato proveniente da acque non-europee, anticipando il cosiddetto ‘Fish Dependance Day’ dal 6 maggio del 2006 al 30 aprile di oggi.
“L’UE aveva la più grande e una delle più ricche zone di pesca al mondo ma non è riuscita a gestirla responsabilmente. Per soddisfare la sempre maggiore richiesta di pesce, è aumentato il sovrasfruttamento in altre parti del mondo”, ha commentato Serena Maso, coordinatrice nazionale di Ocean2012. “Ripristinare la salute degli stock ittici europei – continua – pescando secondo criteri di sostenibilità e consumando solo prodotti ittici pescati in sicurezza, è la maniera più sicura per porre fine a questo trend disastroso”.
Anche Aniol Esteban, co-autore del dossier, ha spiegato la gravità della situazione dei nostri mari: “Il rapporto dimostra che, avendo fallito nella gestione degli stock ittici, gli Stati Membri dell’UE si procurano il pesce altrove piuttosto che impegnarsi per riportare gli stock ittici ad un buono stato di salute. Consumare molto più pesce di quanto le acque europee siano in grado di produrne significa compromettere il futuro degli stock ittici e delle comunità che dipendono dalla pesca e mettere a rischio posti di lavoro e mezzi di sussistenza sia in Europa che in altre parti del mondo”.
Francesca Mancuso
Scarica il rapporto completo in pdf