I ricercatori hanno utilizzato un nuovo modello per prevedere dove andranno a finire i rifiuti connessi alla pandemia
I ricercatori hanno utilizzato un nuovo modello per prevedere dove andranno a finire i rifiuti connessi alla pandemia non correttamente smaltiti
In tutto il mondo la pandemia da Covid-19 ha portato a una crescente richiesta per dispositivi in plastica monouso come mascherine chirurgiche e non, guanti e camici. La maggior parte di questi oggetti, divenuti poi rifiuti, finisce nei fiumi e negli oceani – andando a peggiorare una situazione di inquinamento marino già fuori controllo.
Un nuovo studio si è dato come obiettivo quello di immaginare la quantità e il destino dei rifiuti negli oceani, utilizzando un modello matematico recentemente sviluppato per quantificare l’impatto della pandemia sui rifiuti plastici provenienti dalla terraferma. Utilizzando questo modello, i ricercatori hanno scoperto che nel mondo sono stati generati più di 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici associati alla pandemia – più di 25.000 tonnellate di questi sono finiti negli oceani. Nel giro di tre o quattro anni, una porzione significativa di tutti questi rifiuti plastici finirà sui fondali o sulle spiagge, mentre una porzione più piccola andrà alla deriva nell’oceano aperto, portata dalle correnti.
Il nostro modello simula come la plastica si sposti sulla superficie dell’oceano trasportata dal vento e dalle correnti marine, e come venga degradata dalla luce del sole o dal plancton, finendo poi sulle spiagge o in fondo al mare – spiegano i ricercatori. – I risultati possono rispondere a domande ipotetiche come per esempio: che cosa succederebbe se noi aggiungessimo ancora altre quantità di plastica nell’oceano oltre a quelle già presenti?
Lo studio evidenzia inoltre fiumi e corsi d’acqua che richiedono particolare attenzione per quanto riguarda la gestione dei rifiuti plastici: i fiumi asiatici, per esempio, sono responsabili del 73% dello sversamento totale dei rifiuti plastici negli oceani – con i fiumi Arvand, Indo, e Azzurro che si riversano nel Golfo Persico, nel Mar Arabico e nel Mar Cinese Orientale. I fiumi europei, invece, contribuiscono con l’11%, mentre gli altri continenti impattano in modo minore. Come detto, la maggior parte dei rifiuti è destinato a raggiungere spiagge o fondali marini, ma c’è un piccolo quantitativo di plastica che si raggrupperà invece nell’Oceano Artico – definito come “destinazione finale” dei rifiuti plastici trasportati nei mari a causa dei percorsi delle correnti.
Esiste uno schema nella circolazione delle correnti oceaniche, ed è per questo che abbiamo creato modelli digitali in grado di replicare tali movimenti – spiegano ancora i ricercatori. – Sappiamo, per esempio, che se i rifiuti provenienti dai fiumi asiatici finiscono nell’Oceano Pacifico settentrionale, alcuni di questi si depositeranno nell’Oceano Artico – una sorta di “oceano circolare” che può essere considerato un po’ come un estuario, poiché accumula e raccoglie tutti i rifiuti abbandonati dai diversi continenti.
Il modello dimostra che circa l’80% dei rifiuti plastici che si accumulano nell’Oceano Artico è destinato ad affondare nel breve periodo. Inoltre, si prevede la nascita di una zona di accumulazione di plastica circumpolare entro il 2025. L’ecosistema artico è già considerato particolarmente vulnerabile per la sua alta sensibilità ai cambiamenti climatici: i potenziali impatti ecologici dell’esposizione ai rifiuti plastici aggiunge un altro motivo di preoccupazione. Per contrastare la piaga dei rifiuti negli oceani, i ricercatori suggeriscono l’adozione di nuove pratiche di gestione e smaltimento dei rifiuti medici – soprattutto da parte dei paesi in via di sviluppo. Inoltre sarebbe opportuno investire finanze per il riciclo di questi rifiuti e per lo sviluppo di materiali maggiormente ecosostenibili.
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Fonte: PNAS
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