Marea nera, il Perù cita in giudizio e multa Repsol per il disastro ambientale irreparabile

A quasi due settimane dal disastro di Tonga, il governo del Perù prova a fare una stima dei danni e chiama in giudizio il colosso Repsol

A quasi due settimane dal disastro di Tonga, il governo del Perù prova a fare una stima dei danni e chiama in giudizio il colosso petrolifero Repsol

Tonga: cosa è successo

Lo scorso 15 gennaio si è registrata l’eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, nell’arcipelago delle isole Tonga, equivalente ad un terremoto di magnitudo 5,8. L’eruzione (visibile anche dalle immagini satellitari) è stata così potente da essere percepita anche a centinaia di chilometri di distanza e ha innescato un potente tsunami che ha raggiunto coste molto lontane dall’arcipelago – come quelle delle isole Hawaii, del Giappone, della California e della Nuova Zelanda: in questi Paesi, fortunatamente, non sono state registrate vittime, ma si sono verificati danni alle imbarcazioni e alle infrastrutture costiere.

Un vero e proprio disastro si è però registrato al largo delle coste di Bahia Blanca de Ventanilla, vicino Lima (in Perù): le onde anomale provocate dal movimento tettonico hanno alterato il processo di scarico del greggio della nave Mare Dorium, battente bandiera italiana ma di proprietà della compagnia petrolifera spagnola Repsol, che stava consegnando il suo carico di petrolio alla raffineria La Pampilla. I danni ambientali provocati dallo sversamento di petrolio in mare sono gravissimi: 6.000 barili di carburante sono finiti in mare e a poco sono servite le transenne galleggianti installate per cercare di contenere la marea nera, che si è espansa fino ad invadere la Riserva marina di Ancón, habitat di centinaia di specie animali e vegetali.

Il governo del Perù contro Repsol

Già la scorsa settimana il governo del Perù, nella persona del premier Pedro Castillo, aveva parlato della necessità di infliggere una punizione esemplare alla Repsol, responsabile di aver creato uno dei più grandi disastri ambientali della storia del Paese: ben 1.800.490 mq di spiaggia e 7.139,571 mq di mare sono stati contaminati dal greggio sversato; diverse decine di chilometri di costa hanno subito gravi danni ambientali; centinaia di animali sono morti, rimasti intrappolati nella melma del greggio; almeno 1.500 pescatori locali sono rimasti senza lavoro, impossibilitati a pescare in un’area tanto inquinata.

Da parte sua, Repsol afferma di essere intervenuta tempestivamente nel tentare di arginare la perdita e di limitare i danni provocati dallo sversamento, attivando centinaia di persone che hanno ripulito le spiagge contaminate e mettendo a disposizione della guardia costiera macchine per la pulizia marina, serbatoi galleggianti e un’intera flotta navale per riparare il danno ambientale.

Ma non basta: oltre alla sanzione salatissima per disastro ambientale (si parla di più di 4 milioni di euro che Repsol dovrà dare al governo peruviano) le autorità del Paese hanno annullato la concessione data alla raffineria dove è avvenuto il disastro e hanno sequestrato la nave Mare Doricum – per il cui rilascio è stata richiesta una cauzione di 37,5 milioni di dollari. In un comunicato stampa, la Fratelli d’Amico Armatori S.p.A (società italiana proprietaria della nave) ha affermato di essere a disposizione delle autorità per determinare la causa dell’incidente e di essere attualmente ancorata in sicurezza al largo di Callao, senza segnalazioni di danni.

Il secondo sversamento negato

La situazione sarebbe già abbastanza grave così ma si apprende la notizia, prontamente negata dal colosso spagnolo Repsol, di un secondo sversamento di petrolio durante le operazioni di rimozione del greggio sversato in seguito allo tsunami. La notizia arriva dalla Guardia Costiera peruviana, secondo la quale circa otto barili (1.300 litri) di greggio sarebbero finiti in mare da una perdita nell’oleodotto della raffineria spagnola. Secondo le autorità, la perdita sarebbe sotto controllo, e sono già in corso le operazioni di contenimento del greggio affinché questo non raggiunga la costa.

La popolazione che vive nelle aree costiere del Perù è purtroppo abituata agli sversamenti di greggio in mare, poiché non è la prima volta che “incidenti” del genere accadono. La scorsa domenica, centinaia di persone sono scese in strada e hanno manifestato nei pressi della raffineria contro il depauperamento del loro territorio e la distruzione dell’ecosistema al grido di “El mar està de luto” (Il mare è in lutto). La protesta è proseguita poi anche sui social, dove l’hashtag #Repsolhaztecargo (Repsol assumiti la responsabilità) è diventato virale.

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Fonti:  El Comercio / Capitanías y Guardacostas del Perú / Ministerio del Ambiente Perù

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