Dopo l'incidente della Deepwater Horizon avvenuto l'estate scorsa che ha causato la marea nera nel Golfo del Messico, il peggior disastro ambientale del mondo , tutti pensavano che per riassorbire l'enorme quantità di metano disciolta nell'acqua ci sarebbero voluti decenni. Ma recenti studi condotti dall'oceanografo John Kessler della Texas A&M University (USA) dimostrerebbero che l'inaspettata azione di alcuni batteri “methane-munching” (letteralmente: sgranocchia metano) avrebbe dissolto più di 200.000 tonnellate cubiche di gas nel giro di pochi mesi.
Dopo l’incidente della Deepwater Horizon avvenuto l’estate scorsa che ha causato la, il peggior disastro ambientale del mondo , tutti pensavano che per riassorbire l’enorme quantità di metano disciolta nell’acqua ci sarebbero voluti decenni. Ma recenti studi condotti dall’oceanografo John Kessler della Texas A&M University (USA) dimostrerebbero che l’inaspettata azione di alcuni batteri “methane-munching” (letteralmente: sgranocchia metano) avrebbe dissolto più di 200.000 tonnellate cubiche di gas nel giro di pochi mesi.
Tanto che già adesso, nella zona della perdita, la concentrazione di metano, che a metà giugno era 100.000 volte superiore alla media, sembra essere tornata a livelli normali.
Un risultato strepitoso e inaspettato, almeno secondo i ricercatori del team guidato da Kessler. I quali, a bordo della nave Pisces, hanno raccolto 207 campioni d’acqua tra il 18 agosto e il 4 ottobre – l’incidente è avvenuto il 20 aprile – analizzando la concentrazione di metano e ossigeno presente. Le conclusioni andavano oltre le più rosse aspettative, smentendo ciò che si sapeva sui tempi di azione dei batteri “methane-munching”.
Sulla base delle nostre rilevazioni dall’inizio dell’estate precedente e le altre misure dei tassi di respirazione del metano in tutto il mondo – ha dichiarato David Valentine, altro ricercatore del team – è risultato che il metano sarebbe stato presente nel Golfo del Messico per gli anni a venire. Invece, i tassi di aspirazione del metano sono aumentati ad alti livelli mai registrati. La ricerca ha fatto il giro del mondo ed è stata pubblicata anche su Science.
Ma c’è chi dubita della spiegazione data dal team, come Ian McDonald, professore di biologia degli oceani alla Florida State University. La responsabilità dei dati, secondo lui, non sarebbe da attribuire ai batteri, ma alle correnti oceaniche. A quelle profondità, infatti, si può facilmente ipotizzare che la gran parte di metano sia stata spostata da un’altra parte insieme all’acqua in cui era disciolta. Ma il risultato non cambia: in un modo o nell’altro, a prendersi cura dei nostri errori, pur essendone la prima vittima, è ancora una volta la Natura.