Ad un anno esatto dalla catastrofe Greenpeace porta alla luce gli scheletri nell'armadio, la storia segreta dell'incidente pubblicando sul sito web PolluterWatch un dossier di 30 mila pagine in cui emergono i tentativi del Governo americano e della BP di ridimensionare la portata del disastro.
Domani ricorrerà l’anniversario del . Era infatti il 20 aprile del 2010 quando l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon causò uno sversamento di petrolio in mare senza precedenti nel Golfo del Messico di cui ancora oggi si stanno pagando le conseguenze. Ad un anno esatto dalla catastrofe Greenpeace porta alla luce “gli scheletri nell’armadio”, la “storia segreta” dell’incidente pubblicando sul sito web “PolluterWatch” un dossier di 30 mila pagine in cui emergono i tentativi del Governo americano e della BP di ridimensionare la portata del disastro.
I documenti pubblicati, ottenuti grazie alle norme degli Stati Uniti sulla libertà d’informazione serviranno così a far luce una volta per tutte sulla catastrofe marina più grande della storia che ha riempito il mare del Golfo del Messico di oltre 500 mila tonnellate di petrolio in modo da facilitare le richieste di indennizzo di migliaia di cittadini, pescatori e operatori turistici pesantemente danneggiati dalla marea nera.
Corrispondenza riservata tra Governo USA e BP, prove dei contrasti tra gli scienziati e l’amministrazione, come pure le registrazioni di volo dei piloti che operavano nella zona: nel dossier, solo in parte già analizzato da Greenpeace, emergono già dati inquietanti tra cui:
- il tentativo del Governo americano di minimizzare l’impatto del disastro è stato fortemente criticato dagli scienziati, alcuni dei quali hanno affermato con decisione che “non è corretto dire che il 75 per cento del petrolio non c’è più”;
- tra lo sconforto degli esperti più qualificati, gli ufficiali governativi hanno seriamente sottovalutato l’impatto del petrolio sull’ecosistema marino, comprese le popolazioni di tartarughe;
- BP ha mantenuto il controllo esclusivo sui permessi di accesso degli scienziati alle aree colpite dalla marea nera.
Ma non solo perché nei documenti ottenuti c’è pure la dimostrazione del tentativo di BP di manipolare le ricerche finanziate con il Fondo di Ricerca di 500 milioni di dollari che la stessa compagni petrolifera aveva creato durante l’emergenza nel Golfo del Messico: “BP e il governo hanno cercato di nascondere il vero impatto del maggior disastro petrolifero della storia degli USA – afferma Kert Davies, research director di Greenpeace USA – Speriamo che questo sito web chiarisca a tutti come ciò sia stato possibile e faciliti le comunità locali nel loro tentativo di essere indennizzate“.
“Mentre si scatena la corsa all’ultima goccia di petrolio, è importante svelare i veri costi del disastro della Deepwater Horizon – commenta Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – I dati che rendiamo pubblici dimostrano che le compagnie petrolifere non esitano a occultare informazioni importantissime per la popolazione e la salvaguardia dell’ambiente, pur di difendere la propria immagine e il proprio profitto. Quanto ancora dovremo subire prima di passare a un sistema di produzione energetica basato su risorse pulite e rinnovabili?“.
Forse ancora molto viste le ultime decisioni del Governo di autorizzare le trivellazioni petrolifere al largo delle isoli Tremiti, ricerche offshore che si andranno ad aggiungere, tra le altre attualmente in corso nel Mediterraneo, a quelle del Canale di Sicilia dove la Shell dovrebbe effettuare una trivellazione al largo di Pantelleria. Ma del resto, come ci tiene a concludere Greenpeace i colossi petroliferi si stanno dando da fare in tutto il mondo: “dall’Africa all’Artico tutte le grandi compagnie, come Shell, Eni, e ovviamente BP, cercano di accaparrarsi nuovi permessi per effettuare pericolose operazioni di trivellazione offshore, ovviamente oltre le loro capacità d’intervento in caso d’incidente“.
Simona Falasca
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