L'Ilva di Taranto, uno dei più tristemente noti simboli dell'inquinamento ambientale in Italia, torna nuovamente nell'occhio del ciclone. Tutta "colpa" di Fabio Matacchiera, presidente del Fondo Antidiossina Taranto Onlus, querelato per l'ennesima volta dal colosso siderurgico
L’Ilva di Taranto, uno dei più tristemente noti simboli dell’inquinamento ambientale in Italia, torna nuovamente nell’occhio del ciclone. Tutta “colpa” di Fabio Matacchiera, presidente del Fondo Antidiossina Taranto Onlus, querelato per l’ennesima volta dal colosso siderurgico.
Nel mare della città “dove la diossina è entrata nella catena alimentare e i bambini non possono giocare nei prati o toccare la terra mani nude“, come scrive Angelo Bonelli dei Verdi, Matacchiera si è reso colpevole di aver documentato con una serie di video e fotouna serie di video e foto gli sversamenti di inquietanti fanghi e sostanze oleose, di colore “nero pece” per diverse centinaia di metri. Mandando su tutte le furie la società del Gruppo Riva.
Di fronte agli scarichi delle acque di raffreddamento dell’Ilva, in cui già da anni sono vietate la pesca e la balneazione, c’è acqua nera e sabbia che sembra petrolio. Ma per l’azienda, che ci tiene a sottolineare di aver investito un miliardo di euro nella difesa ambientale, le accuse sarebbero “gravi e ingiustificate“, tanto da intraprendere azioni legali non solo nei confronti dell’ambientalista, ma anche “dei giornalisti che, senza alcuna verifica della fondatezza della notizia, hanno divulgato tale video“, spiega un comunicato. L’Ilva ha rispettato “tutti gli impegni presi con le istituzioni nazionali e locali in materia ambientale” e ha investito “più delle altre industrie siderurgiche europee per l’ambiente“.
E Matacchiera si becca una querela. Non prima, però, di aver accompagnato i suoi due video, già all’attenzione della procura, con un esposto: “ho riscontrato in momenti diversi che nell’area indicata si propagavano fanghi e sostanze verosimilmente oleose, nonché schiumose di colore giallo bruno, marrone intenso ed addirittura nero pece, per diverse centinaia di metri nelle immediate vicinanze degli sbocchi dei canali sopramenzionati, come si può facilmente evincere dalle foto e dai video effettuati che testimoniano la veridicità di quanto da me asserito“, ha dichiarato Matacchiera. “A tale riguardo ho consegnato una corposa ed esaustiva documentazione video e fotografica alle autorità di polizia giudiziaria per farla giungere in tempi brevissimi nelle mani del magistrato competente“.
A sostegno della tesi dell’ambientalista, però, arriva l’Arpa Puglia, che sottolinea la pesante situazione ambientale di quella zona e chiede chiarimenti alla direzione scientifica. L’intera zona, che rientra nel Sin, sito di interesse nazionale, era già stata al centro di una massiccia attività di caratterizzazione, con risultati così pesanti tanto da battezzare l’area come “sito superinquinato“. Nel documento “Relazione sui dati ambientali dell’area di Taranto“, infatti, si legge: “i sedimenti caratterizzati in quest’area hanno evidenziato più di una criticità, risultando contaminati da rilevanti concentrazioni di IPA (rappresentati da alti valori di benzo-a-pirene) e Idrocarburi (pesanti e totali), soprattutto tra il Molo V ed il primo scarico Ilva e nella parte interna della Darsena Polisettoriale“.
Anche i metalli pesanti quali Mercurio, Rame ed Arsenico, nonché Piombo, Cadmio e Zinco hanno più volte superato i valori di intervento e quelli tabellari, con la “contaminazione attribuibile anche a composti organici quali Pcb, pesticidi organo clorurati e composti organostannici“, continua la relazione. In quel tratto di mare, insomma, c’è un po’ di tutto. Per l’Arpa, quindi, i filmati in questione non dicono nulla di nuovo: “conosciamo già lo stato di contaminazione dei sedimenti prelevati da Matacchiera“, ha affermato Massimo Blonda, direttore scientifico dell’Arpa Puglia.
Ad una settimana di distanza dai fatti, poi, per difendere l’ambientalista querelato è sceso in campo anche Angelo Bonelli, il presidente dei Verdi, che, dopo essersi recato nel mare tarantino, ha replicato in un blitz “l’esperimento”. Dopo aver pubblicato dei video su youtube di questa operazione di campionamento, battezzata come “Mare nero”, e alcune foto su Twitter, in cui si vedono le sue mani sporche di melma, racconta: “a bordo di un gommone siamo andati a prelevare dei campioni di acqua marina di fronte l’Ilva di Taranto. Il risultato è quello che vedete in foto: acqua nera, nerissima, sembrava di avere tra le mani petrolio. Una vergogna inaudita, un disastro ambientale di cui nessuno parla che sta uccidendo un’intera città. Ho raccolto un barattolo con l’acqua di Taranto, e lo consegnerò personalmente al ministro dell’Ambiente Clini“.
A spiegare bene, e con poche ma significative parole, l’importanza di tutta questa vicenda è un post scritto sulla sua pagina facebook da Rossella Balestra, del Comitato “Donne per Taranto”, sconcertata dal comunicato stampa nel quale il colosso siderurgico Ilva dichiarava che avrebbe intrapreso azioni legali nei confronti di coloro che ledono la sua immagine. “Il mostro è accerchiato e traballa -scrive la Balestra- il mostro si sta aggrovigliando nella sua stessa rete, il mostro comincia a tremare, il mostro dovrebbe cominciare a ritirare gli artigli e a sputare meno fuoco… Grazie a Fabio Matacchiera per il suo impegno coraggioso, forte e costante che sta mettendo sotto scacco un mostro arrogante e bugiardo. Mostro, sia chiaro, Fabio non è solo e tu non ci fai paura! Sta arrivando l’ora di fare i conti!“. Eppure, in città, c’è ancora chi continua sostenere che è “meglio morire di malattie che di fame“.
Il primo video pubblicato:
Il secondo video pubblicato dopo la querela: