I ricercatori hanno sottolineato la necessità di un’azione comune di contrasto alla dispersione dei rifiuti in mare
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I ricercatori hanno sottolineato la necessità di un’azione comune di contrasto alla dispersione dei rifiuti in mare, soprattutto per tutelare le aree marine protette
L’inquinamento da plastica è una delle sfide più difficili del nostro tempo: questo materiale, resistentissimo e restio a degradarsi nell’ambiente, richiede petrolio e sostanze chimiche per la sua produzione, presenta non poche difficoltà nelle fasi di riciclo e, se disperso nell’ambiente, rilascia microplastiche pericolosissime per animali e piante che vivono negli ecosistemi marini.
La plastica dispersa in mare, a causa delle sue proprietà di galleggiamento e leggerezza, può percorrere grandissime distanze sospinta dal vento e dal moto delle onde, finendo in posti molto lontani da quello in cui è stata originariamente gettata (lo dimostra il disastro delle paperelle avvenuto trent’anni fa, di cui abbiamo parlato in questo articolo).
Come viaggia la plastica?
Questo fenomeno ci dimostra quanto gli ecosistemi siano molto più interconnessi di quanto possiamo pensare e come la negligenza di un Paese o di un governo nella gestione dei rifiuti possa provocare ripercussioni negative anche a centinaia di migliaia di chilometri di distanza. È il caso delle aree marine protette (AMP) del Mar Mediterraneo, contaminate da rifiuti plastici provenienti da molto lontano: un team di ricercatori ha dimostrato infatti che oltre il 55% delle microplastiche analizzate nelle AMP del Mediterraneo ha origine in un altro Paese del mondo.
Il nostro studio mostra che siti specifici, importanti per la conservazione della biodiversità, concentrano elevate quantità di plastica – hanno affermato i ricercatori. – Sebbene le aree marine protette siano protette da restrizioni dovute ad altre minacce, ad esempio la pesca e il turismo, la plastica agisce come un nemico ‘invisibile’, minacciando gli organismi marini.
Per prevedere le zone di accumulo dei rifiuti plastici all’interno delle AMP del Mediterraneo i ricercatori hanno creato un modello di movimento dei rifiuti per opera delle correnti, che ha tenuto conto dei processi più importanti di dispersione della plastica nell’ambiente – flusso dei fiumi, distribuzione delle città, scarichi reflui.
Microplastiche maggiori nelle aeree costiere
Dal modello è emerso che le zone costiere sono quelle maggiormente interessate dalla presenza di plastiche e microplastiche: la concentrazione delle microplastiche nelle acque costiere risulta essere di 1,5 milioni di particelle per chilometro quadrato, mentre nelle acque lontane dalle coste è “solo” di 0,5 milioni di particelle per chilometro quadrato.
Per quanto riguarda le macroplastiche, invece, si stima una presenza di rifiuti di circa 5 chilogrammi per chilometro quadrato in prospicienza delle coste, a fronte di 1,5 chilogrammi per chilometro quadrato lontano dalle coste. Purtroppo, la maggior parte delle AMP del Mediterraneo si trovano in aree costiere, e pertanto risentono maggiormente dell’inquinamento da plastica rispetto alle acque che si trovano al largo.
Ogni anno 500 container di plastica nel Mediterraneo
Circa 229.000 tonnellate di plastica perdono ogni anno nel Mar Mediterraneo, secondo un rapporto dell’IUCN del 2020, equivalenti a 500 container marittimi. Egitto, Italia e Turchia sono stati identificati come i Paesi con i più alti tassi di perdita di plastica nel Mediterraneo, principalmente a causa della cattiva gestione dei rifiuti e delle grandi città costiere. Ma…
La maggior parte dei paesi mediterranei studiati (13 su 15) aveva almeno un’area marina protetta nazionale con oltre il 55% di macroplastiche provenienti da fonti oltre i loro confini – hanno spiegato i ricercatori. – Il nostro studio fornisce risultati in base ai quali le parti interessate possono andare avanti verso collaborazioni internazionali per affrontare l’inquinamento da plastica. Questo è un compito impegnativo per il Mar Mediterraneo, condiviso da numerosi paesi con grandi differenze di status socioeconomico, regimi politici, lingue, governance e culture.
Ancora una volta, insomma, la scienza ci dimostra quanto sia fondamentale ridurre il più possibile la produzione di plastica e adottare pratiche sostenibili di smaltimento dei rifiuti – che in nessun caso dovrebbero finire a galleggiare nelle acque marine.
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Fonte: Frontiers in Marine Science
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