Si disperdono nell'ambiente e inquinano gli ecosistemi, eppure non esiste ancora una legge che considera i "nurdles" come pericolosi
Derivano dal petrolio, costituiscono una delle materie prime più richieste in ogni ambito della produzione industriale. La loro dispersione nell’ambiente, tuttavia, è un fenomeno grave e ampiamente diffuso – per questo le associazioni ambientaliste chiedono di considerarli materiale pericoloso e di adottare norme più stringenti per regolamentarne l’utilizzo.
Stiamo parlando dei nurdles, la materia grezza alla base della produzione di tutti gli oggetti in plastica con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Si tratta, in pratica, di piccoli pezzetti di plastica “vergine” delle dimensioni di una lenticchia, che vengono fusi insieme per dare vita a milioni di oggetti di uso comune – dai giocattoli alle componenti di computer e smartphone, dalle bottiglie ai contenitori per il cibo.
I nurdles rappresentano una forma di inquinamento tanto grave quanto taciuta: date le loro dimensioni così ridotte si disperdono continuamente nell’ambiente in ogni fase della loro vita, dalla produzione alla trasformazione in prodotti plastici finiti.
Secondo un’indagine condotta dalla ONG Plastic Soup Foundation, ogni anno circa 23 miliardi di questi piccoli pezzetti di plastica finiscono dispersi nell’ambiente nella sola Unione Europea – più o meno 160 milioni di chili di materiale altamente inquinante.
In tutto il mondo si stimano 230 milioni di chili di nurdles dispersi ogni anno nell’ambiente, anche se questo numero potrebbe essere in realtà molto più alto, poiché alcuni Paesi (come ad esempio la Cina, uno dei principali produttori di plastica al mondo) non forniscono dati utili ad avere un’idea completa del fenomeno.
Ma cosa accade ai nurdles che si disperdono nell’ambiente? Finiscono nei tombini, nei corsi d’acqua o nelle correnti marine; spinti dal vento possono raggiungere luoghi un tempo incontaminati del nostro Pianeta, come le catene montuose o i Poli.
Era il maggio del 2021 quando la nave da carico X-Press Pearl, che trasportava combustibile e materiali plastici (fra cui i nurdles) prese fuoco al largo delle coste srilankesi, disperdendo buona parte del suo carico in mare. In occasione di questo evento, il mondo ebbe consapevolezza dell’esistenza di queste particelle plastiche e dei rischi connessi a una loro dispersione nell’ambiente.
La dispersione dei nurdles a seguito di quel naufragio provocò un vero e proprio disastro ambientale ed economico alla popolazione costiera che viveva di pesca e che improvvisamente non ebbe più la propria fonte di reddito.
Ancora oggi, a distanza di quasi due anni dal disastro, i nurdles inquinano le acque srilankesi, andando a uccidere pesci e altri animali (che li ingeriscono scambiandoli per cibo), degradandosi molto lentamente e rilasciando in mare pericolose microplastiche.
Malgrado le conseguenze del naufragio in Sri Lanka siano evidenti a tutti e abbiano attirato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, ad oggi mancano ancora delle norme precise che regolino la produzione, il trasporto e il commercio dei nurdles per evitare che questi pezzetti di plastica continuino a disperdersi nell’ambiente in maniera così massiccia.
Inoltre, nonostante gli appelli di ambientalisti e associazioni, l’Organizzazione marittima internazionale non ha ancora provveduto a classificare i nurdles come sostanze pericolose – azione che obbligherebbe produttori e trasportatori di questo materiale a osservare misure quali lo stivaggio separato, un’etichettatura chiara, la gestione delle migliori pratiche e la disposizione di protocolli per far fronte alle emergenze.
Il prossimo appuntamento sulla delicata questione è fissato per il 23 aprile di quest’anno, quando un comitato ad hoc si riunirà per discutere della classificazione dei nurdles e dei vari provvedimenti da adottare per contrastare questa forma di inquinamento così grave e pericolosa.
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