L’Italia vuole spendere in armi il 2% del Pil, ma quante cose si potrebbero fare con quei soldi contro crisi climatica e povertà?

Sono sempre più numerosi gli studi che certificano il collegamento, deleterio, tra le guerre e l’impoverimento delle risorse della Terra e delle popolazioni. L’annuncio dell’aumento degli investimenti per gli armamenti nel quadro NATO, sebbene l’accordo era stato stilato nel 2014, ha fatto trasalire anche il Papa

Con 391 voti favorevoli la Camera dei Deputati ha approvato un Ordine del giorno, collegato al Decreto Ucraina, che impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del Prodotto lnterno Lordo ovvero dei beni e servizi finali prodotti in un determinato periodo di tempo. Questa percentuale di spesa in ambito NATO, deriva da un accordo dei Ministri per la difesa dell’Alleanza poi confermato dai Capi di Stato e di Governo nel 2014 in Galles, con l’obiettivo di raggiungimento entro il 2024. La Guerra in Ucraina ha quindi accelerato questa corsa. Si passerà così, nel complesso, dai precedenti 25 miliardi l’anno stanziati agli attuali 38 miliardi.

Le spese militari sono in crescita nel mondo

L’Istituto di ricerca per la Pace di Stoccolma osserva annualmente l’andamento delle spese militari. Nel 2020, la stime dell’esborso globale di settore corrispondono a 1.981 miliardi di dollari con un +9,3% rispetto al 2011 e un aumento del 2,6% rispetto al 2019. L’alleanza Atlantica nel 2020 ha speso 1.103 miliardi di dollari in materia di difesa: 778 miliardi di dollari per gli USA, 232,8 miliardi per l’Europa. E l’Italia? Undicesima in questa classifica con 28,9 miliardi di dollari, nella top 5 d’Europa.

Il rapporto stilato in collaborazione tra European Network Against Arms Trade (ENAAT) e Transnational Institute riporta come i primi programmi di difesa dell’UE sono stimati attorno ai 600 milioni di euro e, al contempo, i principali produttori non sono esenti da conflitti d’interesse, accuse di corruzione e classificati come al di sotto degli standard etici e legali più elementari. Tra questi Airbus, BAE Systems, Indra, Leonardo, MBDA, Saab, Fraunhofer e TNO.

Infine il focus dell’Osservatorio Mil€x sui fondi a disposizione per la spesa militare italiana: questi saliranno da 68 milioni a 104 milioni di euro al giorno compenso l’acquisto di nuovi armamenti. Tra i capitoli di spesa dei cannoni semoventi dell’Esercito, un avamposto di comando per le missioni all’estero dell’Aeronautica, una piattaforma di addestramentoper gli incursori della Marina.

Il commercio delle armi

Dallo studio sull’andamento del commercio mondiale delle armi SIPRI, emerge che è l’Europa l’area in cui si registra la crescita maggiore: confrontando i dati raccolti nel periodo 2012-2016 con quelli del 2017-2021 l’import è cresciuto del 19% con picchi nel Regno Unito, in Norvegia e nei Paesi Bassi. Per l’Italia è invece il dato dell’export che viene riportato: il 3,1% del totale mondiale nel 2017-21, il 16% in più rispetto al 2012-16. Il 33% delle esportazioni è in direzione Medio Oriente.

Le parole del Papa, la petizione dei Premi Nobel

Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri.

Era il dicembre 2020 quando Papa Francesco consegnò queste parola al mondo incluse nell’enciclica Fratelli tutti. Sul tema degli armamenti è tornato di recente:

Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!

L’appello del Santo Padre è solo l’ultimo di una serie. In concomitanza con la 26esima Conferenza Onu sul cambiamento climatico, oltre cinquanta premi Nobel e diversi presidenti di Accademie della scienza nazionali hanno lanciato la campagna Dividendo della pace, definita come una «semplice proposta per l’umanità». Una mozione sostenuta dal Dalai Lama e firmata, tra gli altri da Carlo Rovelli, Carlo Rubbia e Giorgio Parisi affinché gli Stati membri delle Nazioni Unite negozino una riduzione comune del 2% delle loro spese militari annuali da destinare a un fondo globale per la lotta contro il cambiamento climatico, le pandemie e la povertà estrema.

Il costo della lotta al cambiamento climatico entro il 2050

Se la corsa agli armamenti è in fase di sprint è possibile trovare abbastanza fondi per questa emergenze che, se non sarà gestita, provocherà altri scontri e disperazione a iniziare da i più poveri? Secondo un sondaggio realizzato da Reuters, dalle risposte dei 31 economisti climatici interpellati, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 occorrerebbero investimenti aggiuntivi per il 2 e il 3 per cento di Pil globale ogni anno per trent’anni: parliamo di 44mila miliardi di dollari. Considerati gli ultimi accadimenti in Ucraina si potrebbe obiettare che un aumento degli armamenti è d’obbligo. Ma allo stesso tempo così facendo quando si potrà interrompere questa catena che distoglie energie e fondi verso la lotta al nemico comune che è il cambiamento climatico?

Rapporto interconnesso tra guerra e clima

Per salvate il mondo dall’emergenza climatica occorre davvero attivarsi per un mondo di pace. Lo attesta anche lo studio Crisi climatica, forze armate e pace ambientale del centro studi Delàs per la pace ha analizzato il complesso militare-industriale della difesa. Da un lato è emerso come questo sia un sistema violento, basato su schemi patriarcali senza alcun rispetto dei diritti delle persone e dell’uguaglianza femminile. Dall’altro è evidente come la militarizzazione e il conflitto armato sono strettamente legati ai danni ambientali durante i periodi di pace, di conflitto e di post-conflitto. Basta solo pensare alle necessarie esercitazioni e alle emissioni di CO2 moltiplicate all’ennesima potenza in periodo di guerra. Senza considerare le sostanze tossiche e radiologiche scaricate in acqua, terra e aria, durante le diverse operazioni militari con conseguenze sull’alterazione degli ecosistemi fino alla distruzione degli habitat.

Sussidi ambientali dannosi, quando verranno meno?

Nel nostro Paese sono ancora molto diffusi i SAD ovvero i Sussidi Ambientalmente Dannosi. Sono tutte quelle misure sotto forma di incentivi utili per ridurre il costo dall’utilizzo di fonti fossili o per lo sfruttamento delle risorse naturali. Ma allo stesso tempo sono degli “sconti” che oltre alle imprese vengono estesi alle famiglie. Perché non iniziare da quelli destinati alle prime? L’idea l’ha lanciata tempo da Legambiente che ricorda come negli ultimi 10 anni sono stati stanziati 136,4 miliardi di euro per SAD. Nel 2020 il costo complessivo ammontava a 34,6 miliardi di euro: di questi 18,3 miliardi si potrebbero eliminare entro il 2025 e liberare risorse che invece di essere impiegate nelle ricerche si gas e petrolio potrebbero essere riallocate a favore della transizione energetica declinata in rinnovabili, reti, efficientamento, mobilità sostenibile, e perché no, anche per il monitoraggio e la cura del territorio.

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Font: Centre Delàs/Mil€x/Sipri/Trasferimenti armi 2021/Appello dei 50 Nobel/Legambiente/ENATT

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