Amazzonia: la mafia del legno illegale appicca incendi dolosi a danno delle tribù locali

In Brasile la mafia del legno continua ad appiccare incendi dolosi in aree abitate da comunità indigene che proteggono la foresta amazzonica, per costringerle ad abbandonare i propri territori

Il traffico illegale di legno? Una vera dannazione per quel territorio già martoriato dell’Amazzonia. Non solo questa pratica illecita continua a deforestare aree protette, ma è causa anche di continui incendi dolosi.

Proprio così: qui in Brasile, la mafia del legno appicca volontariamente degli incendi in aree abitate dalle comunità indigene che proteggono la foresta amazzonica, per costringerle ad abbandonare i propri territori. È quanto denuncia Greenpeace, che da tempo ha avviato una collaborazione con alcune di queste tribù indigene per difendere le loro terre e la loro sopravvivenza.

Da mesi, nello stato del Maranhão, divampano incendi molto estesi che hanno interessato i territori dell’Alto Turiaçu, di Araribóia, e di Caru. In queste riserve, costantemente minacciate, nell’indifferenza del governo, e nella Riserva Biologica Gurupi si trova ciò che rimane della foresta amazzonica dello Stato del Maranhão.

Secondo il leader indigeno Antônio Wilson Guajajara, gli incendi sono atti criminali perpetrati dalla mafia del legno contro le attività di monitoraggio e protezione della foresta svolte dalle stesse comunità locali.

Tra agosto e ottobre del 2015 è stata registrata una media di ben 560 nuovi focolai al giorno, con le fiamme che hanno consumato il 45% (circa 190mila ettari) della foresta del Territorio Indigeno di Araribóia. Non sono numeri da poco e la sopravvivenza di numerose comunità Guajajara e Awá-Guajá è in serio pericolo.

La deforestazione illegale in territori indigeni è una piaga che affligge tutto il Brasile. Le popolazioni locali lottano per proteggere la loro casa e invece di essere tutelate, come previsto dalla legge brasiliana, vengono lasciate in balia della mafia del legno che continua a prosperare, ricorrendo sempre più spesso alla violenza”, dichiara Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia. “A inizio settembre Greenpeace ha aiutato gli indigeni Ka’apor fornendo mezzi tecnologici per il monitoraggio indipendente del loro territorio. Questa misura ha permesso loro di non esporsi più in prima persona, ma non ha evitato che la mafia del legno continuasse ad appiccare incendi per isolarli”.

Ora a bruciare è la riserva indigena del Caru. Le fiamme che circondano i villaggi degli Awá-Guajá hanno consumato gli alberi da frutta, reso inagibili le vie di accesso al fiume e rendono impossibile andare a caccia. Ciò significa che in questo momento gli Awá-Guajá non sono più in grado di alimentare le proprie famiglie. Da giorni gli indigeni lavorano costantemente per cercare di spegnere gli incendi e il supporto del governo non è affatto sufficiente. La situazione è così disperata che gli indigeni devono combattere le fiamme praticamente da soli.

Come si ferma questa macchina infernale? Il governo brasiliano, in primis, dovrebbe fare molto di più per proteggere queste popolazioni dalla mafia del legno. Ma anche noi abbiamo le nostre belle responsabilità: se riducessimo la richiesta di legname pregiato brasiliano, principale motore della mafia del legno, probabilmente contribuiremmo a ridurre la violenza e le ritorsioni che portano a questi terribili incendi. Ciò che fa girare e andare avanti queste brutalità è sempre e soltanto il Dio denaro: “solo quando il legname illegale smetterà di essere redditizio, la situazione per i popoli indigeni dell’Amazzonia potrà veramente migliorare”, conclude Borghi.

Qui sotto trovate il video delle tribù indigene che cercano di contrastare gli incendi.

Germana Carillo

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