Forse non lo sai ma i sedili e i volanti per auto prodotti anche da aziende italiane stanno contribuendo alla devastazione delle foreste del Sud America e mettendo a rischio gli indigeni, come svelato da recenti inchieste
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Quando si affronta la questione etica della pelle si fa spesso riferimento a scarpe, borse e altri accessori. In realtà in molti casi ci sfugge che anche nelle nostre auto gli interni vengono realizzati proprio con questo materiale ricavato dagli animali. Vi siete mai domandati da dove arrivano? La risposta ci lascerà con l’amaro in bocca.
Non tutti sanno, infatti, che fra le pelli utilizzata da aziende automobilistiche come BMW e Jaguar Land Rover e la deforestazione illegale dei territori degli indigeni del Sud America c’è un legame molto stretto.
Per realizzare interni, sedili e volanti, infatti, queste e altre aziende acquistano pellami da due aziende italiane leader del settore: Pasubio Spa e Gruppo Mastrotto Spa. A loro volta, le due ditte si riforniscono da concerie che commerciano con allevamenti costruiti nelle terre ancestrali della comunità indigena degli Ayoreo Totobiegosode, che vive nel Chaco; questa regione del Paraguay ospita la seconda foresta più importante dell’America meridionale, dopo l’Amazzonia.
Oltre a contribuire alla devastazione del polmone verde della terra, questa situazione sta mettendo a rischia la sopravvivenza di quello che rappresenta l’ultimo popolo incontattato del Sud America sopravvissuto al di fuori del bacino amazzonico.
La denuncia di Survival International
A denunciare l’inquietante retroscena dietro la produzione di pallame destinato al settore automobilistico il movimento internazionale Survival Internazional, che – in collaborazione e con l’autorizzazione degli Ayoreo Totobiegosode – ha depositato oggi un’istanza contro Pasubio, presso il Punto di Contatto Nazionale italiano (PCN) dell’OCSE.
Nell’Istanza depositata oggi da Survival si legge che la Conceria Pasubio sembra non aver rispettato diversi principi contenuti nelle Linee Guida OCSE, tra cui quelli sulla Divulgazione di informazioni (III), sui Diritti umani (IV), sull’Ambiente (VI) e sugli Interessi del consumatore (VIII).
Fra le altre cose, Survival chiede che la multinazionale “accetti di interrompere immediatamente l’importazione di pelli dalle concerie del Paraguay responsabili e/o coinvolte nella deforestazione dell’area protetta degli Ayoreo Totobiegosode” perché “la condotta perpetrata dalla società contribuisce ad alimentare la deforestazione illegale e la violazione dei diritti del popolo Ayoreo Totobiegosode, privandolo della foresta da cui dipende per tutte le sue vitali necessità; forzandolo a uscire dalla propria terra in cerca di cibo e cure, e costringendolo a contatti forzati e indesiderati con il mondo esterno – cosa che porterà loro, inevitabilmente, morte e malattie come già accaduto in passato”.
Già qualche settimana fa, Survival aveva inviato lettere di diffida a entrambe le società sollecitandole a interrompere queste controverse importazioni. Mentre il Gruppo Mastrotto ha risposto avviando con Survival un dialogo che è ancora in corso e sarà poi oggetto di valutazione finale, Pasubio ha fatto pervenire solo una breve e sterile comunicazione di discolpa generica, senza mostrarsi disonibile ad un confronto. Alla luce dei questa reazione, il movimento ha deciso quindi di ricorrere subito all’OCSE.
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Basta arricchirsi sulla pelle degli Ayoreo!
Il legame tra le pelli usate nell’industria automobilistica e la distruzione illegale delle terre degli Ayoreo non è una novità. Quanto avviene in Amazzonia è stato svelato per la prima volta da un’indagine della ONG britannica Earthsight, da cui è emerso che i 2 terzi delle pelli esportate dal Paraguay ogni anno nel mondo vanno alle aziende italiane, e principalmente a Pasubio. Qualche mese fa vi abbiamo parlato anche di un’interessante inchiesta condotta dal New York Times che mostra come pelli provenienti dai ranch frutto della deforestazione illegale in Brasile possono raggiungere il mercato globale in maniera molto facile, senza controlli.
Gli Ayoreo Totobiegosode stanno rischiando il genocidio a causa di una deforestazione selvaggia che è decisamente illegale, ma continua a crescere di pari passo con le importazioni di pelli dell’Italia” sottolinea Francesca Casella, direttrice della sede italiana di Survival. “Gli esperti prevedono addirittura che la domanda di pelle per auto aumenterà di oltre il 5% all’anno fino al 2027.
Clienti e consumatori finali devono esserne consapevoli, e poiché l’Italia è il più grande acquirente di pelli paraguaiane al mondo, ha il potere e la responsabilità di intervenire smettendo di fare affari con gli allevamenti di bestiame che operano illegalmente all’interno della terra indigena con la connivenza di politici e funzionari corrotti. Non ci si può arricchire sulla pelle degli Ayoreo!
La replica dell’azienda Pasubio
A seguito del nostro articolo, siamo stati contattati dalla conceria Pasubio che ha voluto commentare la vicenda. Riportiamo di seguito la replica dell’azienda:
Pasubio è profondamente determinata a condurre la propria attività in modo sostenibile e responsabile e dedica grande impegno al miglioramento costante del proprio impatto positivo sulla comunità e sull’ambiente circostante.
In data 7 dicembre 2022, Pasubio ha dato risposta alla lettera di Survival International Italia ETS, in continuità con l’impegno a un dialogo aperto e trasparente. Le questioni sollevate erano già state analizzate nel dettaglio e valutate come infondate, confermando così che Pasubio ha sempre rispettato puntualmente ogni applicabile obbligo di legge.
Tali questioni verranno affrontate in modo approfondito anche con il Punto di Contatto OCSE presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, e in un confronto diretto e costruttivo con Survival International.
Pasubio presta grande attenzione ad agire nel rispetto valori etici fondamentali ai quali conforma la propria attività. Tale impegno include la protezione e la salvaguardia delle persone fisiche, dei diritti territoriali e dell’ambiente. Questi impegni sono tutti riflessi nelle politiche aziendali, nelle procedure e nei nostri processi di due diligence.
Confermiamo il nostro impegno a un dialogo aperto con i principali stakeholder su questo tema.
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Fonte: Survival International
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