Nel corso del mese di giugno, gli incendi sono aumentati quasi del 20% raggiungendo il massimo degli ultimi 13 anni. Si teme anche per il coronavirus
Se il 2019 è stato un anno funesto per l’Amazzonia, letteralmente devastata dalle fiamme, anche il 2020 si prennuncia preoccupante. Nel corso del mese di giugno, gli incendi sono aumentati quasi del 20% raggiungendo il massimo degli ultimi 13 anni. Un aumento così importante all’inizio della stagione secca lascia ipotizzare che quest’anno possano addirittura superare l’annata disastrosa del 2019.
Mentre il Brasile fa i conti con l’emergenza coronavirus e i contagi alle stelle (2,17 milioni di casi in totale e oltre 81mila morti), nel silenzio generale e forse anche a causa dei minori controlli dovuti al Covid, a giugno ci sono stati numerosi incendi, la maggior parte dolosi, innescati perlopiù da taglialegna criminali e agricoltori che vogliono far spazio sul terreno a danno delle splendide foreste amazzoniche.
Secondo le stime rilasciate dall’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (IPAM), solo lo scorso mese grazie ai satelliti ne sono stati individuati 2.248, rispetto ai 1.880 di giugno 2019. È il tasso più alto dal 2007 quando si registrarono 3517 incendi. E il picco purtroppo è atteso per i mesi di luglio, agosto e settembre.
Nel 2019 l’agenzia spaziale brasiliana INPE ha registrato 89.196 incendi solo nell’Amazzonia brasiliana ma nelle prime due settimane di luglio l’agenzia ha già registrato altri 1.444 nuovi roghi.
“Non possiamo permettere che la situazione del 2019 si ripeta”, ha detto Mauricio Voivodic, direttore esecutivo del WWF Brasile, accusando il governo di inazione dal quotidiano Folha de Sao Paulo.
Gli incendi dello scorso anno hanno raggiunto il picco ad agosto, con un totale di 30.901 roghi, triplicando il numero dello stesso periodo dell’anno precedente.
“Arrestare gli incendi e la deforestazione quest’anno, oltre a un’azione di protezione ambientale, è anche una misura di salute”, ha detto l’autore principale dello studio, il ricercatore Paulo Moutinho, dell’IPAM. La preoccupazione riflette i dati dello scorso anno, quando i comuni che hanno bruciato di più in Amazzonia hanno visto l’aria diventare il 53% più inquinata, in media, rispetto al 2018.
Secondo le stime rilasciate a giugno dall’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (IPAM), a essere devastata dalle fiamme nel corso dei prossimi mesi potrebbe essere un’area di almeno 4.500 chilometri quadrati. L’Istituto solleva anche un’altra preoccupazione:
“In questo caso, il numero di ricoveri per problemi respiratori può aumentare in modo significativo, esercitando un’ulteriore pressione sul sistema sanitario della regione, che è già gravemente colpito da covid-19” spiega l’Ipam. “Secondo i calcoli degli scienziati, se il tasso accelerato di deforestazione continuerà nei prossimi mesi, quasi 9000 km 2 potrebbero trasformarsi in cenere, poiché ora inizia la stagione più intensa di abbattimenti e incendi, con l’arrivo della stagione secca nella regione”.
Gli incendi del 2019 hanno generato a proteste a livello internazionale, con minacce di sanzioni da parte di governi stranieri e una unanime condanna delle politiche ambientali del presidente Bolsonaro. Il presidente è stato criticato per aver tagliato i finanziamenti al Ministero dell’Ambiente.
L’Amazzonia si estende su più paesi sudamericani ma per il 60% ricade nel territorio brasiliano. Essa ospita circa tre milioni di specie di piante e animali e circa un milione di indigeni. Gli stessi indigeni, già duramente provati dal coronavirus, devono fare i conti anche con gli incendi e la distruzione delle loro riserve.
Secondo gli scienziati, potremmo essere vicini al “punto di non ritorno”, quando la deforestazione totale raggiungerà il 20-25%, e ciò potrebbe accadere nei prossimi 20 o 30 anni.
Fonti di riferimento: Inpe, Ipam, BBC, Folha de Sao Paulo
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