I laghi glaciali sono una bomba ad orologeria pronta ad esplodere (che ha già provocato migliaia di vittime)

Il volume dei laghi glaciali sta crescendo a ritmi molto veloci e questo fenomeno potrebbero portare a nuove inondazioni catastrofiche in diverse aree del mondo, in particolare nella regione dell'Himalaya e del Sud America.

Il rischio di inondazioni catastrofiche è dietro l’angolo per un numero crescente di persone a causa dei laghi glaciali, sempre più pieni e instabili per via dell’aumento delle temperature globali. A partire dal 1990, infatti, il volume di questi laghi formatisi dallo scioglimento dei ghiacciai, è aumentato del 50% in tutto il mondo e alcuni in particolare sono tenuti sotto osservazione dagli scienziati, in quanto soggetti a esondazioni. A mettere in allarme maggiormente gli esperti sono i laghi glaciali dell’Himalaya e dell’America del Sud, considerate delle vere e proprie bombe ad orologeria pronte a esplodere.

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Le aree del mondo maggiormente a rischio 

Come rilevato da uno studio scientifico del 2016, condotto da due ricercatori dell’Università di Leeds, finora – negli ultimi dieci secoli – sono state registrate almeno 1348 inondazioni provocate dai laghi glaciali e il 24% di queste ha avuto un impatto nefasto sulla popolazione. Sono oltre 12mile i morti attribuiti a questo fenomeno e l’Asia centrale rappresenta la regione più colpita, seguita dal Sud America, dalle Alpi europee, dall’Islanda, dalla Scandinavia, dall’America nordoccidentale e dalla Groenlandia. Secondo gli, il Sud America e l’Asia centrale sono le aree più esposte a decessi da inondazioni e a danni estremi alle infrastrutture, alle case e al settore agricolo.

“Alcuni laghi sono più pericolosi di altri e hanno maggiori probabilità di provocare le cosiddette inondazioni glaciali ” spiega Stephan Harrison, docente all’Università di Exeter. 

Ma quali sono i fattori che determinano tali inondazioni?

“Sono necessarie due condizioni per generare un disastro: inondazioni glaciali di grande entità e popolazione esposta e risorse sul suo percorso” – evidenzia Adam Emmer, geografo dell’Università di Graz in Austria. – “L’espansione della popolazione lungo i potenziali percorsi di inondazione glaciale e la mancanza di regolamenti relativi al mondo dell’edilizia possono essere un fattore ancora più importante che provoca inondazioni di questo tipo, specialmente nei Paesi in via di sviluppo “.

Gli sforzi del Nepal e del Perù per evitare altre inondazioni 

Il 70% dei ghiacciai tropicali si trova nelle Ande peruviane e negli ultimi anni si stanno sciogliendo molto rapidamente. Negli decenni tale fenomeno, acuito dal riscaldamento globale, ha provocato una serie di disastri ambientali spaventosi. Finora la peggiore che si ricordi è l’inondazione del 1941 del lago Palcacocha (nel nord-ovest del Perù) che ha provocato circa 1.800 vittime. Ed è stata proprio la crisi climatica a trasformare il lago peruviano in una bomba ad orologeria, che è esplosa all’improvviso. 

Dopo questa catastrofe, il Perù ha messo in atto delle misure per evitare altre inondazioni, rafforzando ad esempio le dighe moreniche instabili con strutture in calcestruzzo.

“La Cordillera Blanca peruviana è, infatti, la regione pioniera al mondo delle opere di mitigazione di inondazioni connesse ha laghi glaciali” evidenzia Adam Emmer. 

Come il Perù, anche il Nepal – che rientra tra i Paesi più esposti a inondazioni glaciali – ha iniziato a lavorare per limitare i rischi a seguito di due gravi inondazioni che si sono verificate negli anni ’80. E nel 1999, in questo Paese dell’Asia Meridionale è stato prosciugato il lago Tsho Rolpa, nei pressi del Monte Everest, in quanto ritenuto fonte di rischio per la popolazione.

Secondo gli scienziati, il fenomeno delle inondazioni causate dai laghi glaciali desterà sempre più preoccupazione a causa dell’aumento delle temperature globali. E a farne le spese saranno innanzitutto gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo, che sono già impegnati in una corsa contro il tempo per evitare catastrofi come quelle già avvenute in passato.

Fonte: Science Direct/European Geoscience Union

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