La spesa militare ha sforato il 2,4% del PIL mondiale nel 2020: con questi soldi avremmo già potuto salvare il Pianeta

Siamo ancora in tempo per garantire un domani sostenibile con tecnologie eco-friendly, tutela delle aree più verdi del mondo e lo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo. A cosa rinunciare? Alle emissioni dannose, allo spreco alimentare e alla guerra

C’è un numero che ricorre spesso nelle cronache di questi giorni. È il 2, per l’esattezza è il 2% di PIL che, ad esempio, l’Italia dovrà impiegare progressivamente entro il 2028 per potenziare l’apparato di difesa e sicurezza nel quadro NATO per precedenti accordi.

Ma può anche rappresentare la cifra extra del PIL globale per salvare il Pianeta. L’antitesi armamenti – crisi clima l’avevano già caldamente avanzata dei Premi Nobel, poi Noam Chomsky e ora, ultimo solo in ordine di tempo, anche l’autore, filosofo nonché acuto visionario Yuval Noah Harari che ha fatto i conti in tasca ai Governi.

Il PIL del mondo a quanto ammonta?

La riflessioni di Harari parte da una nota positiva: non soccombere di fronte al disfattismo di chi dice che è tardi per fare qualcosa.

L’attitudine non è tutto ma di certo aiuta, così come aiuterebbe in modo più efficace quel famoso +2% di Pil mondiale in favore dell’ambiente. Ma a quanto ammonta? Nel 2020 era pari a 1,7 trilioni di dollari ovvero 1.700 miliardi di euro. Una cifra da capogiro che però permetterebbe di garantire un futuro più sostenibile per l’intero globo.

I pilastri della sostenibilità futura

In base a numerosi studi condotti da istituti e organizzazioni indipendenti è stato calcolato che con questo tesoretto si potrebbe davvero passare a un’economia a emissioni zero entro il 2050, impiegando tecnologie come l’energia solare ed eolica.

L’Intergovernmental Panel on Climate Change afferma che ogni anno si impiega l’1,3% del PIL globale per l’energia pulita. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale prospettano una crescita degli investimenti in tal senso al 2,85% nel 2030, ovvero un +1,55% rispetto a quanto si sta facendo adesso.

E poi la conservazione della foresta pluviale amazzonica: basterebbe una donazione una tantum addirittura all’1% del PIL globale per trasformarla in una zona protetta, magari anche dalle mire espansionistiche di scorretti proprietari terrieri e governanti affatto etici. Infine la tutela dei Paesi in via di sviluppo da tempeste, inondazioni e siccità con un investimento stimato in 1,8 miliardi di euro nei prossimi 10 anni per progetti infrastrutturali e di allerta che potranno portare ulteriori benefici economici nel tempo. ‍

Dove vengono investiti tanti soldi dai Governi?

I sussidi diretti per i combustili fossili ammontano a circa 500 miliardi di dollari annui: in 3,5 anni si raggiunge quella cifra pari a 2%, utile per un’effettiva transizione energetica. A questi vanno aggiunti i sussidi indiretti come costi sociali e ambientali comprensivi di spese mediche per l’inquinamento.

L’evasione fiscale che ogni quattro anni ammonta a quel già menzionato 2% di PIL globale. E ancora il prezzo “della catena” dello spreco alimentare che incide considerando la fase di produzione fino a quella finale in cui viene gettato via, sia dai rivenditori che dai consumatori.

Cosa costa di più? La spesa militare che nel 2020 ha sforato il 2,4% del PIL mondiale senza dimenticare altre responsabilità correlate ovvero il 6% di tutte le emissioni globali.

Conoscere la storia per essere liberi

La guerra, l’ennesima guerra che questa volta imperversa alle porte dell’Europa, pone la questione del finanziamento della spesa militare in primo piano, da qualunque parte la si voglia vedere, sia dal lato del singolo Paese che da un punto di vista globale. Siamo in un mondo ancora padroneggiato con muscolarità, prove di forze e di potere:

imparare la storia non è conoscere il passato, ma esserne liberati

Lo ha detto Harari al Children’s Book Fair di Bologna dove ha descritto la collisione tra due visioni, di chi appunto guarda a un passato imperialista e chi al futuro perché ha abbracciato il cambiamento. E proprio questo forse occorre fare, abbracciare il cambiamento e procedere verso in futuro più sostenibile con una chiara visione condivisa perché quel famoso numero, quel 2% di Pil mondiale, possa parlare anche di pace.

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Fonte: SapienshipIPCC/ Stockholm International Peace Research Institute / Pubblicazione dell’Unione Europea

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