La Norvegia è il primo Paese al mondo ad aprire strada alle estrazioni minerarie nelle acque profonde, autorizzando l'attività nell'Artico. Così una delle aree più incontaminate del Pianeta rischia di essere devastata
Nonostante i vari avvertimenti da parte di ambientalisti ed esperti sui gravi rischi che comporta, il Parlmento norvegese ha votato a favore del cosiddetto Deep Sea Mining, ovvero le estrazioni minerarie dai fondali dell’Artico. Il piano prevede il via libera a queste controverse attività in un’area, che si trova tra le Svalbard, la Groenlandia, l’Islanda e l’isola di Jan Mayen ed la cui superficie è pari all’incirca a quella nostra penisola (281.000 km2).
Così, uno dei pochi luoghi ancora rimasti quasi del tutto incontaminati sulla Terra rischia di essere seriamente danneggiato per sempre per mano dell’uomo.
“È devastante vedere lo Stato norvegese mettere a rischio gli straordinari ecosistemi marini. Quest’area è uno degli ultimi rifugi sicuri per la vita marina artica. Faremo tutto il possibile per fermare questa industria distruttiva prima che inizi” ha fatto sapere Amanda Louise Helle, attivista di Greenpeace, organizzazione che si batte contro la pratica del Deep Sea Mining.
Deep sea mining in the Arctic?There’s NO(R)WAY!Fragile ecosystems are at risk, the deep sea is the world’s largest…
Posted by Greenpeace International on Tuesday, January 9, 2024
Anche l’Environmental Justice Foundation (EJF) ha espresso la sua grande delusione, sottolineando che la decisione rovinerà la reputazione della Norvegia come nazione che ha a cuore la salute dell’oceano.
L’obiettivo del Paese scandinavo è quello di estrarre minerali come il magnesio, il cobalto, il rame, il nichel e i metalli depositati nei fondali oceanici. Secondo il governo norvegese, queste risorse daranno una spinta maggiore alla nazione nella transizione energetica della nazione, dato che vengono impiegate per realizzare batterie elettriche, pannelli solari e turbine eoliche.
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I rischi connessi al Deep Sea Mining
Il via libera da parte del Parlamento norvegese costituisce un pericoloso precedente, come evidenziato da diverse associazioni ambientaliste. Come suggerisce lo stesso termine, il Deep Sea Mining consiste nello scavare e raschiare i fondali dell’oceano con appositi macchinari, un po’ come avviene sulla terraferma.
Si tratta di un’attività tutt’altro che priva di “effetti collaterali”. A tal proposito anche l’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), ha ribadito che l’estrazione mineraria in acque profonde è in grado di incidere pesantemente sugli ecosistemi marini, alterando e distruggendo gli habitat di diverse specie e spaventando squali, balene e altre creature marine con fastidiosi rumori e vibrazioni causati dalle navi e dai macchinari.
Un altro punto da considerare è quello legato al sollevamento di sedimenti fini sul fondale marino, che potrebbero far disperdere particelle per centinaia di chilometri, influenzando così la vita di specie vulnerabili e interferendo con la loro comunicazione visiva. Insomma, il Deep Sea Mining è una nuova grande minaccia che incombe su ambiente e animali. Infine, l’attività mineraria può interferire anche con i processi naturali con i quali gli oceani sequestrano e immagazzinano il carbonio, aiutandoci a contrastare gli effetti della crisi climatica.
Tutto questo potrebbe diventare realtà fra non molto nelle acque dell’Artico. Un’enorme contraddizione se si pensa la Norvegia è uno dei Paesi che lo scorso anno ha aderito allo storico Trattato globale sulla protezione degli oceani…
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Fonti: Greenpeace/stortinget.no
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