Greenpeace Italia aggiorna il monitoraggio sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia cominciato nel 2022 con l’Osservatorio di Pavia. Il risultato è praticamente sempre lo stesso: non c’è libertà di stampa sulla crisi climatica, complice anche l’influenza della politica e delle aziende inquinanti
Sui principali quotidiani italiani sono sempre di meno gli articoli dedicati alla crisi climatica, mentre sempre di più le pubblicità delle aziende inquinanti, nell’insieme generale di telegiornali serali in cui mai viene nominata la transizione ecologica.
È il quadro che emerge dal nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio ha esaminato, nel periodo fra settembre e dicembre 2023, come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram.
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Una ricerca che aggiorna il monitoraggio sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia cominciato nel 2022 e che mostra come nel terzo quadrimestre del 2023 i principali quotidiani italiani abbiano pubblicato in media 2,9 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica, ma gli articoli realmente dedicati al problema sono meno della metà. Si tratta di una diminuzione rispetto al quadrimestre precedente, quando l’alluvione dell’Emilia-Romagna e le ondate di calore estive avevano elevato la copertura, a conferma della natura saltuaria ed emergenziale che caratterizza il racconto mediatico del riscaldamento globale.
Nello stesso periodo ha invece raggiunto livelli record la dipendenza della stampa italiana dalle pubblicità delle aziende più inquinanti (compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche): con l’unica eccezione di Avvenire, negli altri quotidiani esaminati si è arrivati a una media di una inserzione pubblicitaria al giorno.
Con le vendite dei quotidiani ai minimi storici, la stampa italiana è sempre più dipendente dai finanziamenti delle aziende inquinanti. Un ricatto che investe anche telegiornali e programmi televisivi, dove ormai si fanno i salti mortali per evitare anche solo di nominare le responsabilità delle fonti fossili e dell’industria del gas e del petrolio – dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia. Oltre a mettere in pericolo il clima del pianeta e le nostre vite, ENI e le altre compagnie dei combustibili fossili impediscono un’informazione libera e indipendente su cui si basa la democrazia.
Sui telegiornali colpisce sia il fatto che in quattro mesi di trasmissioni nessuno abbia mai indicato un solo responsabile della crisi climatica, sia l’aumento delle narrative di resistenza alla transizione energetica, che raddoppiano rispetto al precedente periodo di analisi, passando dal 9,7% al 18,4%. Un sintomo dell’influenza della politica sulla TV generalista: secondo i dati, il TG5 e Studio Aperto diventano infatti i telegiornali che hanno dato più spazio al riscaldamento del pianeta, con il 2,5% e il 2,4% sul totale delle notizie trasmesse, mentre per la prima volta il TG1 scivola all’ultimo posto della classifica insieme al TG4 e al TG La7, con appena l’1,8%.
La classifica dei giornali
I giornali sono stati valutati mediante cinque parametri:
1) quanto parlano della crisi climatica
2) se citano i combustibili fossili tra le cause
3) quanta voce hanno le aziende inquinanti
4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità
5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti
- Avvenire (con 6 punti su 10)
- La Stampa (3,6 punti)
- Il Sole 24 Ore (3,2 punti)
- la Repubblica (3,0)
- Corriere (2,4)
Per quanto riguarda infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, le notizie sulla crisi climatica scendono dal 4,1% al 2,6% sul totale dei post pubblicati. Hanno trovato più spazio gli aspetti politici (29%) e sociali (27%) rispetto a quelli ambientali (22%) ed economici (9%). Tra i soggetti citati o intervistati prevalgono gli esperti scientifici e le associazioni ambientaliste (17% ciascuno), che superano aziende ed esponenti dell’imprenditoria (13%) Hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica tpi (9% sul totale dei post pubblicati), torcha (8%) e factanza (7,5%), mentre chiudono la classifica larepubblica (0,8%) e laveritaweb (0,8%).
GreenMe è stampa libera!
Noi di GreenMe rimaniarmo liberi dai finanziamenti e dalle influenze delle aziende dei combustibili fossili, da sempre. Per questo motivo abbiamo risposto all’appello di Greenpeace insieme ad altre testate e siamo parte della coalizione “Stampa libera per il clima”, per portare avanti la bandiera di una corretta informazione sul clima contro il greenwashing.
Nato 15 anni fa con l’obiettivo di sensibilizzare il grande pubblico verso le tematiche ambientali, oggi GreenMe è affermato punto di riferimento per raccontare il mondo green, in modo pratico e innovativo.
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QUI trovi il report di Greenpeace completo.
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