Nel testo del disegno di legge di Bilancio all’esame del Parlamento la parola Clima compare solo due volte e in un articolo molto parziale. Al contrario, l’articolo 120 crea un imponente fondo di 24 miliardi di euro di durata decennale, accentrato al MEF, per generici investimenti e infrastrutture
Alluvioni e Emilia-Romagna. Alluvioni e Spagna. Alluvioni e crisi climatica. Come e quanto è complicato prenderne atto per buona parte della politica? Su quel che resta di Valencia e – andando a ritroso – sulla grave siccità nel Mezzogiorno e sulla quarta devastante alluvione in Emilia-Romagna in un anno e mezzo, si mette un tappeto per non vedere, per non ammettere che sì, abbiamo del lavoro da fare. Urgentemente.
Che con la crisi climatica gli eventi estremi siano aumentati esponenzialmente in numero e intensità è un dato di fatto che non si può più contestare, con buona pace dei negazionisti che ancora oggi scrivevano commenti feroci sotto i nostri post dedicati al disastro a Valencia. E con buona pace, anche, della politica dei salotti italioti, in piccolo, e dei grossi negoziati internazionali, ancora soggiogati – nemmeno troppo velatamente – dalle lobby fossili.
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Ma vaglielo a spiegare che l’acqua che alimenta le piogge estreme è anche la conseguenza della maggiore evaporazione provocata dalle ondate di calore, che intensifica così anche le condizioni di siccità in molte zone del nostro Paese.
Un circolo vizioso che non si interromperà, se ancora nel testo del disegno di legge di Bilancio la parola Clima compare due volte e, al contrario, l’articolo 120 crea un fondo di 24 miliardi di euro di durata decennale (dal 2027 fino al 2036), accentrato al MEF, per generici interventi a favore di investimenti e infrastrutture, senza nemmeno linee di indirizzo sui progetti da finanziare e le loro finalità.
Cosa serve all’Italia (per salvarci le penne e non avere una “seconda Valencia”)
Mitigazione prima che adattamento. Le alluvioni che hanno colpito l’Italia negli ultimi mesi sono state devastanti, ma quella di Valencia è qualcosa di impressionante.
Come ci diceva ieri Antonello Pasini del CNR, se non facciamo mitigazione, cioè se non riduciamo le emissioni di gas serra, gli eventi estremi saranno sempre più frequenti e intensi e l’adattamento non sarà più sufficiente.
Bene, molto semplice: i soldi dovrebbero essere destinati agli interventi volti alla mitigazione, dunque all’abbattimento delle emissioni climalteranti, e poi all’adattamento, dunque ad azioni sul territorio di profondo adeguamento e cambiamento e di messa in sicurezza.
Sappiamo che di fondi ce ne vorranno di più per attuare la decarbonizzazione vera – dicono poi dal WWF – senza le distrazioni del nucleare e della cattura e stoccaggio del carbonio, in settori dove i combustibili fossili non hanno senso di fronte alle alternative disponibili subito.
Per ora, la Manovra 2024, all’articolo 92, istituisce soltanto un Fondo “destinato al finanziamento degli interventi di ricostruzione e delle esigenze connesse alla stessa”. E col titolone “Misure in materia di calamità naturali ed emergenze (Fondo per la ricostruzione)” in realtà si cela il fatto che ci saranno i rubinetti chiusi per le prossime annualità 2025 e 2026.
E il Piano Nazionale di Adattamento? È stato approvato un anno fa e poi dimenticato, lo abbiamo ribadito più volte. Ma in ogni caso, secondo gli esperti si tratterebbe di un Piano carente che non centra né le priorità, né le fonti di finanziamento.
La cosa certa? È che non si dovrebbe più intervenire solo dopo devastazione ed emergenze, ma fare prevenzione e pianificazione. Sembrano paroloni buttati al caso, nel mare magnum di incompetenze e buontemponi. Ci diamo una mossa?
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