Lo smog potrebbe causare danni sostanziali anche alla nostra salute mentale, portando a una maggiore depressione e a rischio sucidio.
L’esposizione all’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di depressione e suicidio. A dirlo è la prima revisione sistematica di diverse indagini che collegano lo smog a una serie di problemi di salute mentale, secondo cui le polveri sottili presenti nell’atmosfera potrebbero avere effetti negativi sulla psiche oltre che sul fisico.
Pubblicata su Environmental Health Perspectives, le revisione condotta dai ricercatori della University College London ha esaminato i dati di studio di 16 Paesi arrivando alla conclusione che, se la relazione con la depressione riportata in alcuni di questi studi è causale, ridurre l’esposizione media globale all’inquinamento atmosferico da particolato fine (PM2,5) da 44 microgrammi per metro cubo (µg / m3) * a 25µg / m3 potrebbe comportare una riduzione del 15% del rischio di depressione in tutto il mondo.
Sappiamo già che l’inquinamento atmosferico è dannoso per la salute delle persone, con numerosi rischi per la salute fisica che vanno dalle malattie cardiache e polmonari all’ictus e un rischio maggiore di demenza, ma ora i ricercatori dimostrano che lo smog potrebbe causare danni sostanziali anche alla nostra salute mentale, rendendo ancora più urgente la necessità di ripulire l’aria che respiriamo.
Lo studio
La recensione ha esaminato i dati di 16 diversi Paesi raccolti tra il 1974 e il settembre del 2017. I ricercatori hanno trovato 25 studi che soddisfano i loro criteri e li hanno usati per valutare l’associazione tra esposizione al particolato e depressione, suicidio, ansia, disturbo bipolare e psicosi.
I legami più forti erano tra esposizione, depressione e suicidio, mentre il legame era molto più limitato con l’ansia e praticamente nulla con disturbo bipolare o psicosi.
NOW AVAILABLE: A review of the epidemiological literature supports an association between long-term PM2.5 exposure and depression. Read the article ➡️ https://t.co/3GPn46MVG9 pic.twitter.com/fiVyyg8lKy
— Environmental Health Perspectives (@EHPonline) December 18, 2019
Depressione
Una persona che trascorre anche solo sei mesi in un’area con il doppio del limite del particolato fine (PM2.5) stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e pari a 10 microgrammi per metro cubo di aria avrebbe una probabilità del 10% maggiore di sviluppare depressione rispetto a coloro che vivono in un luogo che rispetta quel limite.
Ciò significa che ridurre l’inquinamento atmosferico potrebbe ridurre sostanzialmente la depressione nel mondo: “Si potrebbe prevenire circa il 15% della depressione, supponendo che ci sia una relazione causale. Sarebbe un impatto molto grande, perché la depressione è una malattia molto comune e sta aumentando”, spiega Isobel Braithwaite della University College London.
Suicidio
I ricercatori hanno anche scoperto che un aumento a breve termine dell’esposizione al particolato PM10 potrebbe aumentare il rischio di suicidio. Se i livelli di PM10 aumentano di 10 µg / m3 per tre giorni, il rischio di suicidio aumenta del 2%, spiegano. I ricercatori hanno escluso altre potenziali cause di rischio, come il tempo o il giorno della settimana.
Correlazione o causalità?
I ricercatori non sono ancora sicuri se l’inquinamento atmosferico causi effettivamente problemi di salute mentale, vi sono comunque prove che un meccanismo fisico potrebbe essere in gioco.
“Sappiamo che le particelle più fini dell’aria sporca possono raggiungere il cervello sia attraverso il flusso sanguigno che il naso e che l’inquinamento dell’aria è implicato nell’aumento della neuroinfiammazione, nei danni alle cellule nervose e nei cambiamenti nella produzione di ormoni dello stress, che sono stati collegati a poveri salute mentale”, ha concluso Braithwaite.
Gli studi inclusi nella revisione hanno anche escluso molti altri fattori che potrebbero influenzare la salute mentale, come il reddito, l’istruzione, l’occupazione e altri fattori di salute come il fumo e l’obesità.
“Questa è una recensione completa per un periodo di 40 anni – dice Ioannis Bakolis del King’s College di Londra. Sebbene gli studi inclusi provenissero da diverse parti del mondo – ad esempio Cina, Stati Uniti, Germania – e variavano in termini di dimensioni del campione, disegno degli studi e misure della depressione, le associazioni riportate erano molto simili”.
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