Goliat, fermiamo l’enorme piattaforma petrolifera Eni che minaccia l’Artico (VIDEO)

Goliat, la gigantesca piattaforma petrolifera situata nell'Artico norvegese, ha subito un nuovo (l'ennesimo) incidente. Venerdì scorso,Goliat si è fermata nuovamente, per il malfunzionamento di una valvola. Per questo Greenpeace spera che venga fermata prima di produrre altri danni al delicato ecosistema Artico

Goliat, la gigantesca piattaforma petrolifera situata nell’Artico norvegese, ha subito un nuovo (l’ennesimo) incidente. Venerdì scorso, Goliat si è fermata nuovamente per il malfunzionamento di una valvola. Per questo Greenpeace spera che venga fermata prima di produrre altri danni al delicato ecosistema Artico.

Il progetto petrolifero appartiene per il 65% a Eni e per il 35 a Statoil, nel Mare di Barents meridionale, a circa 65 chilometri al largo delle coste della Norvegia. Il giacimento fu scoperto nel 2000. In attività dal marzo 2016, la piattaforma ha già fatto registrate numerosi incidenti: al 1° settembre erano già una dozzina secondo l’agenzia di controllo statale per le attività petrolifere in Norvegia. A dicembre poi le attività estrattive vennero fermate per un problema al sistema di trasporto del petrolio. Ma la scorsa settimana, dopo meno di una settimana dal riavvio, Goliat è stato fermato ancora.

Una minaccia per l’Artico, Goliat è una cosiddetta FSPO (Floating, Production, Storage and Offloading), una struttura che raccoglie e stocca, lavora e smista petrolio.

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L’agenzia norvegese, temendo il peggio, a fine agosto scorso aveva chiesto di fermare le operazioni fino all’inizio di settembre, ma non solo. Da aprile a dicembre 2016, l’agenzia di controllo ha effettuato un audit nell’azienda per controllare la sicurezza e l’ambiente di lavoro su Goliat. E le sorprese non sono di certo mancate: ha trovato alcune violazioni e dei punti da migliorare.

Gestione della salute, della sicurezza e dell’ambiente

Stando alle accuse mosse dall’Agenzia di controllo statale per le attività petrolifere in Norvegia, Eni non avbrebbe garantito una corretta gestione della salute, della sicurezza e dell’ambiente nelle attività, risorse e processi necessari per le operazioni previste.

Mappatura delle condizioni di rischio

Anche su questo punto Goliat è carente. L’azienda non sarebbe in grado di effettuare uno studio e una valutazione dei rischi per il personale di bordo.

Ruoli, responsabilità e informazioni poco chiare

Anche la ripartizione dei ruoli e delle responsabilità tra l’organizzazione operativa su Goliat di Eni e le organizzazioni a terra a Hammerfest e Stavanger non sono chiare.

Manutenzione inadeguata

Da quella delle uscite di sicurezza all’illuminazione nelle aree di carico, c’è molto da fare. Di recente, l’agenzia norvegese per il controllo sulle attività petrolifere aveva notificato ad Eni l’esigenza di riesaminare i piani attuali, le priorità e l’uso delle risorse per assicurare il buon funzionamento di Goliat. La settimana scorsa Goliat è stata riavviata dopo essere stata ferma per oltre un mese a causa di riparazioni sul tubo di scarico, ma le attività sono durate poco: la produzione è stata interrotta al fine di effettuare nuove manutenzioni su una valvola nel sistema di compressione del gas. Un lavoro che, secondo Eni, dovrebbe essere completato nei prossimi giorni.

“Con ogni probabilità Goliat andrà avanti nonostante tutto: Eni ha investito troppo per abbandonare ora questo progetto. Una spesa enorme per un enorme e pericoloso buco nell’acqua: la stima dei costi effettuata da Eni all’inizio del 2009 era di circa 3,3 miliardi di euro. Nel 2015 la stima è quasi raddoppiata salendo a circa 5,3 miliardi di euro, ma, secondo alcuni analisti finanziari norvegesi, Goliat potrebbe non produrre mai profitti. Un motivo in più per fermarla, come se quello ambientale e di sicurezza non bastassero” è l’appello di Greenpeace.

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Per fermare le trivellazioni nell’Artico e chiedere che diventi un’area marina protetta all’interno delle acque internazionali esiste una petizione già firmata da 7,5 milioni di persone, da ogni parte del mondo.

Per firmare la petizione clicca qui

Francesca Mancuso

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