Ilva di Taranto. Il Codacons interverrà in giudizio in rappresentanza della popolazione locale e come organizzazione ambientalista e chiederà che siano accertate anche le responsabilità dei Ministeri e degli enti pubblici che nel tempo hanno contribuito, attraverso una omessa vigilanza e mancati interventi preventivi, a determinare la grave situazione di danno ambientale. Lo annuncia l'associazione in una nota.
Ilva di Taranto. Il Codacons interverrà in giudizio in rappresentanza della popolazione locale e come organizzazione ambientalista e chiederà che siano accertate anche le responsabilità dei Ministeri e degli enti pubblici che nel tempo hanno contribuito, attraverso una omessa vigilanza e mancati interventi preventivi, a determinare la grave situazione di danno ambientale. Lo annuncia l’associazione in una nota.
Alla luce dei reati di omissione di atti dovuti e concorso in inquinamento e disastro ambientale, il Codacons interviene al tribunale del riesame, chiedendo di riaprire impianti per 3 mesi affidandoli a prefetto e arpa. Ma a condizione che in questo periodo si proceda a sanare la situazione. “Chiederemo al Tribunale di mettere la salute dei cittadini prima della questione occupazionale e degli interessi economici dell’Ilva“, spiega il Presidente Carlo Rienzi.
L’associazione ricorda inoltre al Gip di Taranto che la fabbrica non deve chiudere durante la bonifica: ciò è previsto dall’art. 104 bis disp. art. c.p.p., inserito nel codice di rito dall’art. 2, comma 9, lett. b), legge 15 luglio 2009, n. 94, in forza del quale “nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione (…) l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario (…)” nulla osta al fatto che l’attività produttiva continui anche in pendenza di un provvedimento di sequestro preventivo che abbia ad oggetto beni per i quali si ponga un’esigenza di utile gestione.
E tale principio fu confermato di recente dalla sentenza della Cassazione penale N. 35801 del 2010 proprio per la chiusura di una fabbrica di Taranto. Ma, come forma di tutela dei lavoratori, “proporremo al Tribunale di riaprire per un periodo massimo di 3 mesi gli impianti, affidandoli alla responsabilità dell’Arpa e del Prefetto, a condizione che in tale periodo il Ministero dell’Ambiente, l’azienda e gli enti interessati operino per sanare la situazione di danno ambientale, bonificando l’area con i fondi stanziati dal Governo“, conclude Rienzi.
Intanto, è partita un’azione risarcitoria in favore di cittadini, lavoratori e aziende del tarantino, evidentemente danneggiate dalla situazione di inquinamento ambientale. Da oggi è stata formalmente avviata la raccolta di adesioni contro i soggetti responsabili del gravissimo danno ambientale e delle istituzioni che avevano il compito di prevenire e impedire un tale disastro.
Roberta Ragni
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