Il ritorno delle trivelle in Italia nel DL Ambiente: “Meloni ed ENI riaccendono l’incubo petrolifero”

Giovedì 10 ottobre il Consiglio dei Ministri ha licenziato il DL Energia e pubblicato il 17 ottobre in Gazzetta Ufficiale. Secondo il Coordinamento nazionale No Triv, i tempi di gestazione del decreto e la conseguente prospettiva di conversione in legge entro il prossimo 16 dicembre danno motivo di pensare a un disegno governativo che non fa che rilanciare le attività estrattive azzerando il PiTESAI, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee

Il Consiglio dei Ministri ha approvato nei giorni scorsi il Decreto Legge recante “Disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell’economia circolare, l’attuazione di interventi in materia di bonifiche di siti contaminati e dissesto idrogeologico”.

Si tratta di una serie di nuove norme o rafforzamento di altre che, tra le altre cose, includono anche un maggiore spazio alla trivellazione di gas nei mari italiani, riportando di fatti il nostro Paese ad almeno due decenni fa. E qui c’è il nodo.

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Ad attrarre l’attenzione sono sicuramente le novità introdotte dall’articolo 2 in materia di ricerca e coltivazione di gas e petrolio sul territorio nazionale. In primo luogo, secondo gli esperti, pare evidente la scelta di rinunciare a strumenti di pianificazione come il PiTESAI, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee.

Il venir meno del PiTESAI e l’assenza di un nuovo eventuale Piano – come spiegano dal Coordinamento No Triv – in grado di tener conto dell’insostenibilità ambientale e sociale di nuove attività estrattive, di fatto favorisce la reviviscenza di ben 11 permessi di ricerca a mare e 18 su terra ferma, abrogati negli scorsi due anni per effetto del PiTESAI stesso (c. 8, art. 11 ter, Legge 12/2019) ed una nuova fioritura delle attività Oil&Gas sul territorio nazionale.

Tutto questo, ovvio, potrebbe comportare nuove attività di ricerca anche di petrolio, così smentendo la volontà del Governo di limitarla, piuttosto, solo gas. E non solo: le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi già conferite alla data di entrata in vigore del Decreto o da conferire sulla base di permessi rilasciati entro il 17 ottobre 2024, proseguiranno per la “durata di vita utile” del giacimento, potendo comportare l’autorizzazione di nuovi pozzi e, quindi, di nuove attività estrattive.

Una seconda innovazione che avrà come effetto quello di spianare la strada a opere connesse all’estrazione e alla coltivazione di idrocarburi, è l’avvenuto ripristino del conferimento alle stesse del carattere di “pubblica utilità”.

Al netto di tutto questo, resta senza risposta l’annoso mistero: atteso che una volta estratti, gas e petrolio sono di proprietà dei soggetti privati chi li estraggono, che può quindi collocarli liberamente sul mercato, in cosa consisterebbe questo pubblico interesse?

Altra nota dolente riguarda la riformulazione del finora inefficace gas release, che, a determinate condizioni, avrà come effetto il venir meno del divieto, del 2006, di cercare ed estrarre gas a meno di 12 miglia marine dalle linee di costa e dal perimetro delle aree naturali protette, potendo le compagnie spingersi fino alla distanza di 9 miglia marine.

Facciamo un appello non formale a giuristi e forze politiche di opposizione che hanno realmente a cuore la difesa del bene comune e della salute pubblica nella prospettiva di una giusta transizione energetica e sociale, affinché si adoperino con acume e passione a rilevare e denunziare ogni aspetto di illegittimità che si nasconda nelle pieghe del recente dispositivo, concludono dal Coordinamento.

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