Il fumo degli incendi boschivi australiani del 2020 ha ridotto del 5% lo strato di ozono

Un nuovo studio ha scoperto che le particelle di fumo possono innescare reazioni chimiche che erodono lo strato protettivo di ozono che protegge la Terra dal Sole e che la distruzione degli incendi in Australia è stata simile al processo di formazione del buco nell'ozono antartico ad ogni primavera "ma a temperature molto più calde"

Le particelle nel fumo degli incendi boschivi possono attivare molecole che distruggono lo strato di ozono. È quanto emerge da una nuova ricerca secondo cui il fumo degli incendi boschivi australiani del 2019-20 avrebbe ridotto temporaneamente lo strato di ozono dal 3% al 5% nel 2020.

Il motivo sarebbe nel fatto che un incendio boschivo può pompare fumo nella stratosfera, dove le particelle rimangono alla deriva per più di un anno. I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno così scoperto che, mentre sono sospese, queste particelle possono innescare reazioni chimiche che erodono lo strato protettivo di ozono che protegge la Terra dalle dannose radiazioni ultraviolette del sole.

Leggi anche: Il buco nell’ozono si sta chiudendo, si riparerà del tutto entro il 2040

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, si concentra sul fumo del megaincendio Black Summer nell’Australia orientale, che ha bruciato tra dicembre 2019 e gennaio 2020. Gli incendi – i più devastanti mai registrati nel Paese – hanno bruciato decine di milioni di persone di ettari e pompato letteralmente nell’atmosfera più di un milione di tonnellate di fumo.

Il team del MIT ha identificato una nuova reazione chimica in base alla quale le particelle di fumo degli incendi boschivi australiani hanno peggiorato l’esaurimento dell’ozono. Innescando questa reazione, gli incendi hanno probabilmente contribuito alla riduzione del 3-5% dell’ozono totale alle medie latitudini dell’emisfero australe, nelle regioni sopra l’Australia, la Nuova Zelanda e parti dell’Africa e del Sud America.

I modelli dei ricercatori indicano anche che gli incendi hanno colpito le regioni polari, erodendo i bordi del buco dell’ozono sopra l’Antartide. Alla fine del 2020, le particelle di fumo degli incendi boschivi australiani hanno ampliato il buco dell’ozono antartico di 2,5 milioni di chilometri quadrati, il 10% della sua superficie rispetto all’anno precedente.

Non è chiaro quale effetto a lungo termine avranno gli incendi sul recupero dell’ozono. Le Nazioni Unite hanno recentemente riferito che il buco dell’ozono e l’esaurimento dell’ozono in tutto il mondo sono in via di guarigione, grazie a uno sforzo internazionale sostenuto per eliminare gradualmente le sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono. Ma lo studio del MIT suggerisce che finché queste sostanze chimiche persistono nell’atmosfera, i grandi incendi potrebbero continuare a innescare proprio quella reazione che impoverisce temporaneamente l’ozono.

Gli incendi australiani del 2020 sono stati davvero un campanello d’allarme per la comunità scientifica – afferma Susan Solomon, ricercatrice MIT e autrice dello studio. L’effetto degli incendi boschivi non era stato preso in considerazione prima nelle proiezioni di recupero dell’ozono e penso che questo effetto possa dipendere dal fatto che gli incendi diventino più frequenti e intensi man mano che il pianeta si surrriscalda.

fumo australia

©Nature

Questo nuovo studio si basa su una scoperta fatta nel 2022 da Solomon e colleghi, che identificarono per la prima volta un legame chimico tra incendi e riduzione dell’ozono: i composti contenenti cloro, originariamente emessi dalle fabbriche sotto forma di clorofluorocarburi (CFC), potrebbero reagire con la superficie degli aerosol incendiati. Questa interazione innesca una cascata chimica che produce il monossido di cloro, la molecola che più distrugge lo strato di ozono. I loro risultati hanno mostrato che gli incendi boschivi australiani probabilmente hanno impoverito l’ozono proprio attraverso questa reazione chimica.

Seguici su Telegram Instagram | Facebook TikTok Youtube

Fonti: Nature / The Guardian

Leggi anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Instagram