Il costo ambientale (insostenibile) della cremazione nel nuovo rapporto ISDE

La pratica della cremazione è altamente inquinante, e mancano le leggi per limitarne gli effetti sull'ambiente: la denuncia dell'ISDE, Associazione Italiana dei Medici per l’Ambiente

La cremazione dei defunti è una pratica funeraria nota sin dall’antichità, ma che negli ultimi anni ha conosciuto nuovo vigore e slancio.

Attualmente, nel nostro Paese, ci sono 87 forni crematori – diffusi soprattutto nel centro-nord Italia, mentre il fenomeno è meno diffuso al Sud.

Questa tendenza in crescita ha destato l’attenzione della comunità scientifica, preoccupata soprattutto per il possibile impatto che un numero rapidamente in crescita di cremazioni (e quindi di punti di emissioni da combustione) possa avere sull’ambiente e sulla salute.

Da questa attenzione deriva il primo un approfondimento scientifico sulla cremazione e sugli effetti di questa pratica sull’ambiente e, di conseguenza, sulla salute umana realizzato da ISDE, l’Associazione Italiana dei Medici per l’Ambiente.

Leggi anche:

La cremazione in era moderna

La cremazione si sviluppò nel contesto di un’ampia “lotta politica, ideale e di costume” tra fine ‘800 e inizio ‘900.

In un’Italia devastata da endemie ed epidemie, con pessime condizioni igieniche e lavorative, la cultura scientifica e le forze politiche progressiste spingevano per riforme sanitarie, e la pratica della cremazione faceva parte del progetto igienista dell’epoca, sostenuto da medici che ne rivendicavano la funzione “igienica, economica, morale, sociale”.

Una delle prime cremazioni avvenne a Cremona nel 1878 – anche se fu l’epidemia di colera del 1884-85 a incentivare la redazione del Codice Sanitario e la diffusione dei templi crematori in tutto il paese.

Nonostante questo momento di “boom”, lo sviluppo della cremazione rimase limitato, soprattutto al Nord Italia. Fino agli anni Sessanta, il numero di cremazioni annuali rimase sotto le 1.000.

La pratica della cremazione ha visto una rapida crescita nel corso degli anni. Nel decennio successivo alla sua introduzione, il numero di cremazioni in Italia è salito da circa 2.500 all’anno a oltre 15.000 nel 1995.

Negli anni successivi, la diffusione della cremazione è stata accelerata dalle posizioni più aperte della Chiesa, portando il numero annuale di cremazioni a crescere costantemente. Nel 2000, si avvicinavano le 30.000, mentre nel 2010 superavano le 75.000.

Nel 2015, le cremazioni hanno raggiungo quota 137.000. Nel 2021, su circa 709.000 decessi, sono state effettuate circa 244.000 cremazioni, rappresentanti oltre il 34% del totale.

Il report

Con numeri così alti di cremazioni ogni anno, non è più possibile ignorare il fenomeno legato all’emissione di inquinanti da parte dei forni crematori – da qui l’approfondimento di ISDE.

I forni crematori comportano l’incenerimento attraverso trattamento termico a temperature elevatissime – dichiarano gli autori del report. – Questo rende indispensabile considerare il rischio ambientale e sanitario correlato alle emissioni di questi impianti.

Tale rischio è aggravato dall’assenza di una specifica normativa di settore, e dalla carenza di efficienti e adeguate misure di monitoraggio per numerosi degli inquinanti emessi. Questi due aspetti, normativo e tecnico, vanno necessariamente colmati.

I forni crematori, anche quelli con tecnologie avanzate per ridurre le emissioni, rilasciano sostanze nocive nell’ambiente, dannose per la salute umana e l’ecosistema.

Gli inquinanti, prodotti dalla combustione, si diffondono nell’aria e si depositano sul suolo, alterandone l’equilibrio chimico e biologico, mentre alcune sostanze persistenti possono contaminare il terreno per lunghi periodi, raggiungendo le falde acquifere e la catena alimentare.

Esiste, in Italia, un “vuoto normativo” in materia di cremazione – dalla costruzione dei crematori ai limiti di emissione degli impianti, dalle tecnologie da adottare ai materiali per le bare.

Questo vuoto normativo diventa evidente, soprattutto considerando l’avanzamento tecnologico, la crescente consapevolezza ambientale e l’obbligo di ridurre l’inquinamento atmosferico.

È necessario quindi, secondo i medici, un intervento normativo per regolare l’ubicazione e soprattutto i limiti di emissione degli inquinanti.

Le alternative esistono

Attualmente, almeno in Italia, la cremazione è l’unica alternativa alla sepoltura tradizionale prevista dalla legge.

All’estero, però, esistono almeno altre due opzioni. Una di queste è la liquefazione (detta anche “cremazione ad acqua”) legalizzata alle Hawaii nel 2022.

In questo processo, il corpo viene sottoposto a una rapida decomposizione tramite immersione in un liquido alcalino per sei ore. Alla fine, restano solo le ossa, che possono essere polverizzate e conservate in un’urna.

Un’altra alternativa è il “compostaggio umano” o terramazione, una forma di sepoltura alternativa in cui i resti del defuntosi trasformano in terriccio fertile.

L’idea è che da un cadavere possa nascere, ad esempio, un albero, simbolo di nuova vita. Questo metodo, approvato in alcuni Stati degli USA, prevede che il corpo venga avvolto in una miscela di materiali biologici che favoriscono l’attività dei microrganismi responsabili della decomposizione.

Viene continuamente immesso ossigeno nel contenitore per mantenere il processo attivo. Dopo circa due mesi, le ossa vengono rimosse e, dopo qualche altra settimana, il terriccio fertile è pronto.

Queste pratiche potrebbero rappresentare un “dopo vita” più ecologico e sostenibile, ma non è ancora possibile metterle in atto nel nostro Paese.

Non vuoi perdere le nostre notizie ?

Fonte: ISDE

Ti consigliamo anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Instagram