Uno studio del 2020 mostra la presunta correlazione tra deforestazione e incidenza di hantavirus e altre zoonosi nel popoloso Brasile.
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In estrema sintesi, l’hantavirus — che si trasmette all’essere umano dal diretto contatto con feci, saliva e urine di roditori infetti o per inalazione del virus attraverso escrementi di roditori — si diffonderebbe più rapidamente quando le foreste siano state abbattute e le popolazioni di roditori siano numericamente elevate.
Sebbene le simulazioni proposte nel suddetto studio debbano essere ancora confermate da adeguate ricerche sul campo, questi primi dati scientifici mostrano che la riduzione del rischio di malattie zoonotiche potrebbe essere favorito dal ripristino della copertura forestale.
Deforestazione e hantavirus
Senza dubbio, l’attuale pandemia da COVID-19 ha posto nuovamente all’attenzione pubblica la pericolosità delle malattie zoonotiche, sebbene le zoonosi — cioè le malattie trasmesse dal contatto tra esseri umani e animali — abbiano sempre rappresentato una minaccia per la salute pubblica mondiale.
Secondo i succitati scienziati brasiliani, dunque, la deforestazione in atto nel paese sarebbe positivamente correlata all’aumento del rischio di malattie zoonotiche. Con la progressiva perdita dell’habitat naturale, infatti, le dinamiche ecologiche (tra cui la dinamica predatore-preda) non sarebbero più così efficaci nel contrastare ovvero regolare le malattie.
Un altro studio condotto tre anni prima da Paula Ribeiro Prist, ricercatrice presso EcoHealth Alliance, organizzazione no-profit con sede a New York, aveva già evidenziato che il ripristino delle foreste potrebbe costituire una strategia idonea a proteggerci dalle malattie zoonotiche.
Prist ha inoltre dichiarato, in riferimento alla ricerca del 2020, che:
“Questo è stato il primo studio che ha affrontato il tema della correlazione tra malattie zoonotiche e riforestazione nelle aree tropicali” […] “e, per quanto di sua conoscenza, il terzo studio ad aver identificato il collegamento tra malattie zoonotiche e ripristino delle foreste in tutto il mondo.”.
Come già accennato, le simulazioni condotte da Prist e dai suoi colleghi hanno portato alla conclusione che il ripristino della Foresta Atlantica del Brasile potrebbe mitigare il rischio di contrarre la sindrome cardiopolmonare da hantavirus, una malattia zoonotica altamente letale. A loro avviso, una massiccia opera di riforestazione potrebbe contribuire alla riduzione delle popolazioni dei piccoli mammiferi che veicolano la malattia.
Nello studio viene sottolineato che la trasmissione della malattia aumenta quando le popolazioni di roditori portatori sono numerose e la densità della popolazione è elevata; inoltre, i tassi di trasmissione aumentano proporzionalmente all’aumentare delle temperature locali, e ciò accade proprio quando le foreste vengono disboscate e deforestate. L’aumento della prevalenza di hantavirus nei roditori può quindi essere un fattore di rischio epidemico per le vicine popolazioni.
Nonostante l’hantavirus sia altamente letale per l’uomo, è alquanto rara la trasmissione tra individui. Sebbene sia improbabile che esso possa dare origine ad una pandemia globale come quella da COVID-19, questa malattia può comunque avere effetti devastanti in peculiari contesti regionali e locali.
La metodologia di ricerca
Per verificare come e in che misura il ripristino delle foreste potrebbe influire sulla prevalenza della malattia zoonotica, Prist e colleghi hanno comparato alcune serie di dati sull’abbondanza dei roditori sia nei siti boschivi che nelle aree disboscate dell’intero stato brasiliano di San Paolo.
Il team ha fatto ricorso a tali informazioni per stimare il grado di prevalenza dell’hantavirus allo stato attuale rispetto a quello che si avrebbe con i livelli di ripristino della copertura forestale richiesti dalla legge brasiliana sulla protezione della vegetazione nativa.
Quest’ultima è una normativa meno stringente rispetto al vecchio codice forestale brasiliano, introdotto per la prima volta nel 1965. Il vecchio codice garantiva la conservazione delle foreste e di altre forme di vegetazione naturale in aree considerate fondamentali come, ad esempio, quelle vicine alle sorgenti e lungo le sponde dei fiumi. Quella rivoluzionaria legislazione imponeva inoltre ai proprietari terrieri di preservare una certa percentuale di territorio forestale.
Nel 2012, però, le politiche del governo brasiliano erano già mutate e il nuovo codice forestale ha finito per perdere quell’iniziale vocazione. La legge brasiliana sulla protezione della vegetazione nativa (BNVPL) ha opportunamente mantenuto la destinazione di un’area minima di vegetazione autoctona sui terreni privati, ma, allo stesso tempo, ha notevolmente indebolito le linee guida del vecchio codice forestale, legittimando un’incontrollabile spinta alla deforestazione, tuttora incentivata dalla presidenza Bolsonaro.
Perché proteggere la foresta atlantica
La foresta atlantica del Brasile è un ecosistema di rilevanza mondiale perché dotato non solo di una elevata biodiversità, ma anche di un grande potenziale di stoccaggio del carbonio.
La crescente pressione antropica esercitata su tale ecosistema nel corso dei secoli, tuttavia, non ha affatto giovato alla foresta atlantica. Prima dell’arrivo degli europei, 500 anni fa, la foresta atlantica si estendeva per oltre 150 milioni di ettari in quello che oggi corrisponde al Brasile orientale, un’area quasi equivalente alla superficie della Mongolia. La foresta atlantica, un tempo imponente, ha perso oltre il 90% della propria copertura forestale nativa. Quel vasto territorio ospita oltre due terzi della popolazione brasiliana e include le megalopoli di San Paolo e Rio de Janeiro.
Il recupero delle foreste è ormai un importante obiettivo, fissato su scala globale per combattere il cambiamento climatico, salvare le specie e migliorare la vita delle comunità locali la cui sopravvivenza dipende dalla foresta.
In particolare, la cd. Bonn Challenge, lanciata dalla Germania e dall’IUCN nel 2011, mira a ripristinare 350 milioni di ettari di foresta entro il 2030 attraverso l’adesione volontaria dei paesi partecipanti.
Fonti: ResearchGate/PLoS
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