I pesci si stanno spostando sempre di più verso i poli a causa dell'aumento della temperatura del mare. Oggi si celebra la Giornata mondiale degli oceani
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Un microrganismo, il coronavirus, è stato in grado di girare il mondo e mettere l’essere umano di fronte allo specchio della sua stessa fragilità. Il danno che ha causato è devastante, ma anche se il Covid fa paura, dovremo temere anche i cambiamenti climatici e i loro devastanti effetti. Tra questi vi è la migrazione dei pesci verso i poli. Oggi più che mai, in occasione della Giornata mondiale degli oceani, occorre ricordare che bisogna agire rapidamente per contrastare il riscaldamento globale e i suoi effetti mortali.
Una delle misure più urgenti è proteggere la biodiversità in modo che funga da scudo protettivo contro future epidemie. Ma non solo. Secondo le Nazioni Uniti, la natura è “sull’orlo del collasso” e un milione di specie animali e vegetali “probabilmente” scompariranno nei prossimi decenni. I cambiamenti climatici, la deforestazione, la distruzione dell’habitat ma anche lo sfruttamento eccessivo dei mari hanno sconvolto l’equilibrio degli ecosistemi e questa perdita di biodiversità avrà gravi conseguenze per l’umanità.
In particolare, una ricerca condotta dalle Università di Bristol ed Exeter hanno notato che i pesci si stanno spostando sempre di più verso i poli, lasciando le zone equatoriali.
I pesci fuggono verso i poli
Sin dai tempi preindustriali, gli oceani del mondo si sono riscaldati in media di un grado Celsius (1 ° C). Ora i ricercatori hanno scoperto che le temperature in aumento hanno portato a cambiamenti diffusi nelle dimensioni della popolazione delle specie marine, ma non solo. Essi hanno individuato anche uno schema generale delle specie in aumento ai poli e in calo man mano che ci si sposta verso l’equatore.
“La principale sorpresa riguarda la pervasività degli effetti”, spiega l’autore dello studio Martin Genner, ecologo evoluzionista dell’Università di Bristol. “Abbiamo trovato la stessa tendenza in tutti i gruppi di specie marine che abbiamo visto, dal plancton agli invertebrati marini, dai pesci agli uccelli”.
Il nuovo studio si basa su analisi precedenti volte a valutare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle distribuzioni, l’abbondanza e la stagionalità delle specie marine. Sulla base di questi risultati, il team di Genner è arrivato alla conclusione che le specie marine stanno migrando sempre di più verso i poli. Essi hanno esaminato 304 specie marine ampiamente distribuite nell’ultimo secolo. I risultati mostrano che – proprio come previsto – gli aumenti dell’abbondanza sono stati più importanti laddove il campionamento ha avuto luogo sul lato polare delle gamme di specie, mentre i declini dell’abbondanza sono stati più importanti dove il campionamento ha avuto luogo sul lato equatoriale delle gamme di specie.
In altre parole, spostandosi verso il polo, veniva registrato un netto aumento delle popolazioni. Al contrario, spostandosi verso l’equatore, si assisteva a un netto declino.
I risultati mostrano che i cambiamenti su larga scala nell’abbondanza di specie sono evidenti e suggeriscono anche che le specie marine non sono riuscite ad adattarsi alle condizioni più calde: secondo i ricercatori l’aumento delle temperature del mare fino a 1,5 ° C rispetto ai livelli preindustriali entro il 2050 non farà che peggiorare la situazione, amplificando questa tendenza dei pesci a spostarsi sempre di più verso i poli.
“Ciò è importante perché significa che i cambiamenti climatici non stanno solo portando a cambiamenti nell’abbondanza, ma stanno influenzando intrinsecamente le prestazioni delle specie a livello locale. Vediamo specie come il pinguino imperatore diventare meno abbondante quando l’acqua diventa troppo calda e pesci come la spigola europea prosperano ai poli dove storicamente erano rari” afferma Genner.
I cambiamenti climatici stanno pesando anche sulle specie marine:
“I risultati mostrano un futuro in cui assisteremo anche a una continua perdita di vita marina”, conclude Genner.
Oceani sempre più caldi
Purtroppo gli oceani si stanno riscaldando sempre più velocemente. Uno studio pubblicato su Advances in Atmospheric sciences ha scoperto che la temperatura dei mari del mondo ha toccato un valore record nel 2019 con un innalzamento di 0,075 gradi sopra la media del trentennio 1981-2010. Un valore che può sembrare irrilevante ma che non lo è affatto: gli oceani hanno accumulato 228 triliardi di joules, pari a 3,6 miliardi di bombe atomiche della stessa potenza di quella caduta su Hiroshima.
Una minaccia chiamata plastica
I pesci poi non devono vedersela solo con i cambiamenti climatici ma a minacciarli, ogni giorno, è la presenza della nostra plastica. Valutando solo l’impatto legato all’emergenza coronavirus, negli ultimi tre mesi in Italia una famiglia media di 4 persone, con un consumo medio giornaliero 2 litri di acqua ha utilizzato ben 474,5 bottiglie da 1,5 l, pari a 18 kg di plastica. Ciò ha comportato l’impiego di 34,2 kg di petrolio utilizzato per la realizzazione del PET e 60,5 kg di CO2 frutto della produzione e del trasporto di questo quantitativo di bottiglie. Per non parlare di mascherine e guanti che hanno contribuito e stanno contribuendo al marine littering, mettendo a rischio la vita della fauna marina.
La Giornata mondiale degli Oceani
Oggi 8 giugno è la Giornata mondiale degli Oceani. Tale data ricorda la dichiarazione fatta al Global Forum di Rio de Janeiro dal Governo canadese ed diventa giornata internazionale nel 2008 quando viene fissata dall’Assemblea generale dell’ONU. Il tema di quest’anno è “Innovazione per un oceano sostenibile”.
Secondo il Coordinamento nazionale dei docenti della disciplina dei diritti umani, solo nel Mediterraneo sono presenti 1,2 milioni di microplasticheper chilometro quadrato (Nature scientific reports del 2016 a cura di Ismar – Cnr) e sono circa 380 milioni le tonnellate di plastica prodotte ogni anno, mentre quelle che finiscono negli oceani e nei mari del pianeta si aggirano intorno agli 8 milioni.
Come ha ribadito il Segretario Generale dell’ONU António Guterres
“gli oceani stanno diventando più acidi, mettendo a repentaglio la biodiversità marina e le essenziali catene alimentari” e l’aspetto più grave è costituito dalla probabile estinzione di un numero sempre più corposo di specie ittiche dovuto alla pesca intensiva e all’inquinamento delle acque. Così potrebbe capitare a breve di non vedere più lo squalo bianco, l’ombrina boccadoro, l’anguilla, il palombo, il rombo chiodato, lo squalo mako, lo squalo angelo, la verdesca, la cernia, il tonno rosso e il pesce spada, le acciughe, i cetacei ed altri ancora. “Noi facciamo affidamento sugli oceani per il cibo, il sostentamento, il trasporto e il commercio. E come polmoni del nostro pianeta e i suoi più grandi pozzi di assorbimento del carbonio, gli oceani hanno un ruolo vitale nel regolare il clima globaleha detto Guterres.
Dalla salute del pianeta dipende anche la nostra
Siamo circondati da molti, molti agenti patogeni come virus e batteri. Quando gli ecosistemi sono in equilibrio, essi rimangono in natura e la probabilità di raggiungere l’uomo è molto bassa ma quando alteriamo gli equilibri naturali, danneggiamo le specie e le cattureremo anche negli angoli più remoti, commerciando e trafficando con esse, le possibilità di contagio si moltiplicano.
Per questo, oggi più che mai è necessario proteggere gli ecosistemi di tutto il mondo, compresi gli oceani, per proteggere noi stessi.
Fonti di riferimento: ScienceDaily, Current Biology,
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