Giornata mondiale dell’alimentazione: il clima nel piatto

Se non vengono cambiati i modelli e i sistemi odierni di produzione agricola, dare da mangiare a una popolazione che si prevede arriverà anche a 10 miliardi nel 2050, sarà molto difficile: l'allarme lanciato dal WWF nel suo rapporto "Il clima nel piatto", reso pubblico in occasione della Giornata mondiale dell'Alimentazione di domani

Produzione alimentare e cambiamento climatico. Si svolge domani 16 ottobre la Giornata mondiale dell’Alimentazione e, per l’occasione, il WWF snocciola tutti i paradossi di cui ci stiamo facendo complici. Un cane che si morde la coda è dir poco: se, infatti, da un lato produrre cibo causa emissioni di gas serra a go go, dall’altro il surriscaldamento del Pianeta favorito proprio dai gas serra minaccia la stessa produzione alimentare.

Come a dire: è tutto ma proprio tutto messo in discussione da questo benedetto “global warming”, per dirla con gli inglesi, che non solo va lì e scioglie i ghiacci e fa innalzare il livello dei mari e aumenta di intensità e frequenza i fenomeni meteorologici, ma incide pure, e di brutto, sulla produzione di ciò che portiamo in tavola. E Amen.

Produrre cibo butta fuori il 35% delle emissioni globali di anidride carbonica, metano e protossido di azoto (per non parlare della zootecnia, che da sola è un grado di contribuire per il 18% a tutte le emissioni di gas serra), con conseguenze disastrose per le popolazioni più povere e più soggette a carestie e lo spettro di un ritorno di una estenuante lotta alla fame.

Un’immagine orripilante descritta dal Wwf che, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione di domani (il tema di quest’anno è “Protezione sociale e agricoltura per spezzare il ciclo della povertà rurale”), lancia il report “Il clima nel piatto” e che significa una cosa soltanto: se non vengono cambiati i modelli e i sistemi odierni di produzione agricola, dare da mangiare a una popolazione che si prevede arriverà anche a 10 miliardi nel 2050, sarà molto difficile (serve un aumento del 70% delle produzioni rispetto a oggi) e provocherà un rialzo delle emissioni di gas a effetto serra, con un aggravamento delle condizioni del pianeta che non troverà soluzione neanche con un più esteso utilizzo delle energie rinnovabili.

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Secondo il rapporto, il cambiamento climatico potrebbe influenzare ogni stadio della sicurezza alimentare e soprattutto quattro punti della filiera del cibo: disponibilità, accessibilità, utilizzo e stabilità. Ciò potrebbe significare che la lotta contro la fame possa tornare indietro di decenni: nel 2050 potrebbero esserci 25 milioni in più di bambini malnutriti di età inferiore ai 5 anni (nonostante il paradosso dello spreco alimentare: ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene prodotto ma non mangiato!).

Di chi o di che cosa è la colpa? Del consumo di carne che, ahimè, continua a crescere in tutto il mondo: in Italia è passato dai 31 kg all’anno pro capite del 1961 a 90 kg nel 2011, mentre il maggiore consumatore mondiale è la Cina con 71 milioni di tonnellate nel 2012. E poi ancora, della deforestazione tropicale, del metano prodotto dagli allevamenti di bovini e dalle risaie e del protossido di azoto prodotto in terreni eccessivamente fertilizzati…

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LE SOLUZIONI PROPOSTE DAL WWF

Agroecologia (con il minimo utilizzo di fertilizzanti e pesticidi e input – come il letame e i concimi organici – prodotti localmente) e pesca sostenibile, pratiche che anche le politiche dovrebbero incentivare fiscalmente, mentre la contabilità ambientale deve entrare formalmente nelle politiche economiche e nella prassi delle imprese. E poi azioni di protezione e rigenerazione del suolo e degli equilibri idrici, usare al minimo i sistemi forestali in modo che questi possano fornire ‘servizi’ naturali indispensabili (sequestro di carbonio dal suolo, acqua e aria pulita, controllo naturale degli infestanti, impollinazione).

È necessario un approccio alimentare più sostenibile, capace di ridurre significativamente gli impatti sui sistemi naturali e la biodiversità e di integrare in modo equilibrato le diverse componenti dell’alimentazione, come nel caso della dieta mediterranea, in modo da rispondere anche ad esigenze di benessere fisico e di salute – dichiara Eva Alessi, responsabile sostenibilità del WWF Italia. È necessario agire per una drastica riduzione dei consumi di prodotti animali, scegliendo una dieta “amica del clima che viene indicata nel nostro Rapporto.

Per l’Italia il WWF ha elencato 7 soluzioni nazionali a partire dalla promozione dell’agricoltura biologica ‘amica del clima’ con un obiettivo al 2020 di almeno il 20% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Promozione di aziende agricole multifunzionali, zootecnia estensiva, riduzione dei consumi di carne e di latticini nelle diete con campagne di comunicazione, etichettatura con indicatore di impatto ambientale.

Il WWF ha stilato anche un interessante DECALOGO PER UN’ALIMENTAZIONE SALVACLIMA che va dall’acquisto di prodotti locali alla riduzione degli sprechi.

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