I cambiamenti climatici legati all'inquinamento sono storia vecchia e risalgono addirittura al 1800, in coincidenza con la Rivoluzione Industriale. Anche allora, la fuliggine prodotta dall'industrializzazione in Europa provoco un brusco scioglimento di alcuni ghiacciai alpini
I cambiamenti climatici legati all’inquinamento sono storia vecchia e risalgono addirittura al 1800, in coincidenza con la Rivoluzione Industriale. Anche allora, la fuliggine prodotta dall’industrializzazione in Europa provocò un brusco scioglimento di alcuni ghiacciai alpini.
Lo ha scoperto un nuovo studio realizzato presso il Jet Propulsion Laboratory della Nasa in collaborazione con il Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences (CIRES) della University of Colorado Boulder. Sebbene non si trattasse dello stesso inquinamento del XX secolo, quello del 1800 ebbe il suo peso. La fuliggine prodotta dall’industrializzazione si depositò sulle pendici dei ghiacciai, e assorbendo la luce del sole, ne provocò lo scioglimento accelerato. Il team della Nasa ha scoperto una forte evidenza del fatto che la maggiore presenza di fuliggine fosse collegata alla rapida industrializzazione dell’Europa e al brusco ritiro dei ghiacciai di montagna nelle Alpi, che ebbe inizio nel 1860, un periodo spesso considerato come la fine della Piccola Era Glaciale.
La piccola era glaciale, un periodo più fresco tra i secoli 14° e 19°, è stata caratterizzata da una espansione dei ghiacciai di montagna ma anche da un calo delle temperature in Europa di quasi 1,8 gradi Fahrenheit (1 grado Celsius). Ma i dati mostrano che tra il 1860 e il 1930, nonostante le temperature continuassero a scendere, i grandi ghiacciai delle Alpi improvvisamente si ritiravano ad una media di circa 1 km all’anno, numeri senza precedenti. Glaciologi e climatologi hanno lottato per conciliare questo apparente conflitto.
La ricerca, pubblicata il 3 settembre su Pnas, ha tentato di risolvere questo dibattito scientifico di vecchia data: lo scioglimento dei ghiacciai delle valli a dispetto di un calo delle temperature. Nei decenni successivi al 1850, l’Europa infatti subì una trasformazione economica e atmosferica stimolata dall’industrializzazione. La materia prima, allora, era il carbone, usato per riscaldare le case, per alimentare mezzi di trasporto e industrie in Europa occidentale. All’epoca si riversarono enormi quantità di nerofumo e di altre particelle inquinanti nell’atmosfera.
Il nerofumo è la particella atmosferica che assorbe di più la luce solare. Quando esso si deposita sui ghiacciai, rende più scura la superficie della neve, accelerandone la fusione ed esponendo il ghiaccio sottostante al sole. Questa diminuzione del manto nevoso di anno in anno ha portato alla scomparsa di alcuni ghiacciai alpini.
“Qualcosa non torna”, ha detto Thomas Painter, scienziato del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, a capo della ricerca. “Prima d’ora, la maggior parte dei glaciologi credeva che la fine della piccola era glaciale fosse arrivata a metà del 1800 quando i ghiacciai si ritirarono, e che il ritiro fosse stato causato da un cambiamento climatico naturale, distinto dall’anidride carbonica che è venuta più tardi, nel 20° secolo. Questo risultato suggerisce che l’influenza umana sul ghiacciaio si estende all’indietro”.
Per giungere a tale considerazione, i ricercatori hanno studiato i dati di alcune carote di ghiaccio provenienti da diversi ghiacciai di montagna europei per determinare la quantità di fuliggine presente nell’atmosfera e nella neve all’epoca in cui i ghiacciai delle Alpi cominciarono a ritirarsi. Usando i livelli di particelle di carbonio intrappolati negli strati di tali carote e tenendo conto delle moderne osservazioni su come gli inquinanti sono distribuiti nelle Alpi, gli scienziati sono stati in grado di stimare la quantità di nerofumo depositatosi sulle superfici glaciali a quote più basse.
“Ora dobbiamo guardare più da vicino le altre regioni della Terra, come l’ Himalaya, per studiare gli impatti attuali del nerofumo su ghiacciai in queste regioni”, ha aggiunto Georg Kaser, coautore della ricerca.
Un modo in più per capire l’impatto che l’inquinamento ha ormai da 200 anni sul pianeta.
Francesca Mancuso
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