“Gestione illegale e danni alla vita”, la Corte d’Assise di Taranto spiega la sentenza Ilva che ha portato a condanne fino a 22 anni

Sono state rese note le motivazioni della sentenza del processo Ambiente Svenduto: “gestione illegale e danni alla vita”, così in più di 3700 pagine la Corte d’Assise di Taranto spiega la sentenza che ha portato a 26 condanne per 270 anni di carcere

Procrastinavano con la costante e ingiustificata prevalenza delle ragioni della produzione”, per questo, secondo i giudici, i componenti della famiglia proprietaria dello stabilimento di Taranto conoscevano già ogni singola illegalità nella gestione, ma mai hanno fatto qualcosa per ambiente e sicurezza.

La famiglia Riva e i loro sodali hanno gestito l’ex Ilva di Taranto dal 1995 al 2012 in maniera “disastrosa” – dice la Corte d’Assise – e “hanno posto in essere modalità gestionali illegali, anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995”.

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È questo quanto si legge nel quasi 4mila pagine che compongono la motivazione della sentenza con la quale la Corte d’Assise di Taranto condannò il 31 maggio 2021 la famiglia di industriali lombardi, la dirigenza dell’acciaieria jonica e alcuni degli amministratori locali e regionali.

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Nei 15 lunghi capitoli che compongono il documento, si spiega per filo e per segno come i Riva conoscessero già molto bene la realtà della fabbrica e come abbiano “messo in pericolo – concreto – la vita e la integrità fisica dei lavoratori dello stesso stabilimento, la vita e l’integrità fisica degli abitanti del quartiere Tamburi, la vita e la integrità fisica dei cittadini di Taranto. Danni alla vita – scrive la Corte d’Assise presieduta dal giudice Stefania D’Errico e a latere il giudice estensore Fulvia Misserini – e alla integrità fisica che, purtroppo, in molti casi si sono concretizzati: dagli omicidi colposi, alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materno. Modalità gestionali che sono andate molto oltre quelle meramente industriali, coinvolgendo a vari livelli tutte le autorità, locali e non, investite di poteri autorizzatori e/o di controllo nei confronti dello stabilimento stesso”.

La sentenza parla poi di una gestione “disastrosa” che ha “arrecato un gravissimo pericolo per la incolumità-salute pubblica” e di condotte “commissive” e “omissive” che hanno portato allo sversamento nell’aria e nell’ambiente di “sostanze nocive” per “la salute umana, animale, vegetale” con la diffusione “nelle aree interne” nonché in quelle “rurali e urbane circostanti”. E l’assenza della registrazione di numerosi superamenti dei limiti di legge, sottolinea la Corte, “non significa che Ilva non inquinasse”. L’interpretazione dei giudici è di segno diametralmente opposto: “Significa invece che Ilva ‘pilotava’ i controlli, che Ilva forniva dati errati o falsi, che Ilva faceva in modo di condizionare gli organi di controllo – già per loro conto privi di mezzi e di risorse -, che Ilva procedeva alla corruzione di consulenti tecnici del pm, che Ilva demansionava, licenziava, minacciava i lavoratori disposti a ‘parlare’ svelando le effettive condizioni di lavoro e le modalità gestionali degli impianti”.

Infine, la Corte d’Assise di Taranto ha accolto la tesi proposta dei magistrati, sostenendo che il pericolo delle emissioni dell’acciaieria era un dato “notorio”. Un aspetto che, ad avviso dei giudici, è facilmente riscontrabile dai protocolli d’intesa tra i Riva e le istituzioni nonché dai provvedimenti amministrativi:

Attestano in maniera inequivocabile come gli interventi di ambientalizzazione degli impianti, pur avvertiti come imprescindibili e urgenti, siano stati a lungo procrastinati, con la costante e ingiustificata prevalenza delle ragioni della produzione rispetto a altri valori pur costituzionalmente fondanti del nostro ordinamento.

Ovviamente, secondo i giudici, la famiglia che gestiva l’Ilva ha potuto fare tutto ciò grazie a una fitta rete di “connivenze”.

Una cattivissima gestione, insomma, che, oltre a produrre danni ambientali e sanitari, non ha mai neppure risolto i problemi economici, sociali e occupazionali del territorio. Anzi.

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