Frana di Sarno: 22 anni dopo, siamo ancora in emergenza (e il coronavirus fa dimenticare la messa in sicurezza del paese)

22 anni fa, una serie di frane uccisero 160 persone nella zona del Sarno. Secondo i Geologi, dopo il coronavirus subito la messa in sicurezza

Sono già passati 22 anni da quando l’alluvione di Sarno e Quindici uccise 160 persone. Era il 5 maggio 1998. Lì, alcuni cittadini di Sarno, Quindici, Siano, Bracigliano e San Felice a Cancello persero la vita a causa delle forti piogge che provocarono numerose frane. Ancora oggi, i cittadini di quelle aree sono ancora a rischio.

In quei giorni, in sole 72 ore caddero oltre 300 millimetri di pioggia. Ciò innescò una serie di frane, la prima dal monte Pizzo d’Alvano, che sfiorò gli abitati sottostanti. A seguire, diverse colate di detriti  travolsero Sarno e le località vicine abbattendo decine di abitazioni. A Quindici, cittadina situata sul versante opposto del Pizzo d’Alvano, i detriti seppellirono letteralmente il centro e la frazione Casamanzi.

A distanza di oltre 20 anni, però, l’Italia sta ancora facendo i conti col dissesto idrogeologico e i cittadini colpiti dalle frane vivono ancora nel timore che quanto accaduto nel 1998 possa succedere di nuovo.

Spiega il Consiglio nazionale dei geologi che nel nostro paese, il 91% dei comuni presenta aree a rischio più o meno elevato, conquistando il poco invidiabile primato europeo del numero di frane: oltre 700 mila, circa l’80% del totale.

Dopo il coronavirus, piano straordinario di mitigazione del rischio idrogeologico

Per questo, secondo i geologi, la ripresa delle attività dopo l’emergenza coronavirus deve considerare al più presto anche la messa in sicurezza di tutto il territorio italiano.

“In queste settimane l’Italia sta vivendo forse il momento più difficile dal secondo dopoguerra a causa dell’emergenza Covid-19, che ha prodotto tanti lutti ed ha messo in ginocchio l’economia del Paese, ma proprio per questo è importante ripartire, con interventi che agiscano non solo nella fase di emergenza, ma anche nel periodo post-emergenziale” ha detto il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, Francesco Peduto.

Tra le principali priorità, secondo i geologi, deve essere predisposta “la risoluzione delle problematiche inerenti la difesa del suolo”.

Come? Per mitigare i rischi geologici occorre attuare degli interventi sostenibili, volti sia alla riqualificazione ambientale che alla messa in sicurezza del costruito e del territorio, anche in un’ottica di riduzione del consumo di suolo.

Da tempo infatti si parla di un Piano straordinario di mitigazione del rischio idrogeologico per frane, alluvioni ed erosione costiera e la ripartenza dopo il coronavirus potrebbe essere il momento migliore:

“Se le frane di Sarno hanno costituito un punto di svolta nell’approccio alle problematiche della difesa del suolo e della mitigazione dei rischi geologici, l’auspicio è che questa nuova emergenza possa determinare un cambio di passo per completare il percorso iniziato nel 1998. Piani e programmi per la ripresa economica, però, vanno definiti sin da ora e senza indugi, predisponendo gli strumenti necessari che consentano l’immediato avvio di investimenti non appena terminata l’emergenza, sperando che, anche in questo caso, come è avvenuto in passato in altre occasioni difficili, il Paese sappia dare il meglio di sé” prosegue Peduto.

Parola d’ordine: prevenzione

Ancora una volta, l’imperativo principale riguarda la prevenzione, che potrebbe essere attuata con Presidi Idrogeologici Permanenti, formati da tecnici qualificati per avere una conoscenza approfondita delle aree più esposte al rischio.

La “ricostruzione” italiana post coronavirus deve partire anche dalla messa in sicurezza dei territori, dalla zona del Sarno. già duramente provata, al resto d’Italia.

Fonti di riferimento: Consiglio nazionale dei geologi

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