Altri due studi scientifici dimostrano che il fracking provoca terremoti e inquina l'acqua, causando la morte dei pesci
Due recenti studi americani tornano ad accusare il fracking: causa terremoti e, per gli additivi chimici che vengono pompati a pressione nel sottosuolo, inquina le acque dolci causando la morte dei pesci. Ma l’industria estrattiva va avanti imperterrita.
Il primo studio è in fase di pubblicazione sulla rivista scientifica Earth and Planetary Science Letters, ma i risultati sono stati anticipati sul Wall Street Journal. Dalla ricerca emerge chiaramente come nel permesso petrolifero americano di Eagle Ford Shale, nel sud del Texas, fracking e terremoti sono strettamente collegati.
Un collegamento stretto ma “indiretto”. Secondo i ricercatori, infatti, la terra trema perché il sottosuolo viene svuotato molto in fretta: il fracking è una tecnica di estrazione che permette di estrarre petrolio e gas in modo veloce, grazie all’iniezione di acqua e sostanze chimiche ad alta pressione nel pozzo.
La terra, in pratica, dopo essere stata svuotata si assesta e scivola leggermente verso il basso causando i terremoti. Lo studio, però, precisa anche che di solito si tratta di terremoti poco forti che spesso non vengono neanche avvertiti dalla popolazione. Gli stessi risultati scientifici erano stati ottenuti, seppur con uno studio di minore portata, dall’USGS nel 2012.
Il servizio geologico statunitense aveva studiato i terremoti che si erano verificati in Ohaio, sempre vicino alle trivelle, scoprendo un legame tra il fracking e i movimenti della terra. Anche in quel caso terremoti di piccola entità.
Per quanto riguarda la temutissima contaminazione dell’acqua, invece, a parlare è lo studio dell’USGS e del U.S. Fish and Wildlife Service. La ricerca parte da uno strano caso di moria di pesci nel fiume Acorn Fork, nel Kentucky, avvenuta poco dopo il rilascio non autorizzato di fluidi utilizzati per il fracking da parte della compagnia Namy Resources nel 2007.
All’epoca vi fu una strage di pesci, compresi due esemplari di una rara specie a rischio di estinzione, e di quasi tutta la fauna del fiume. I pesci subirono danni alle branchie e alla milza mentre nell’acqua fu trovata una elevatissima concentrazione di metalli pesanti e Namy Resources fu condannata nel 2009 a pagare un risarcimento di 50 mila dollari.
Ma solo per aver ucciso i due pesciolini protetti, in pratica 25 mila dollari a pesce, perché la legge americana non è esattamente all’avanguardia sulle questioni ambientali. Eppure di studi che collegano il fracking all’inquinamento dell’acqua, negli Stati Unitim iniziano ad essercene parecchi…
Peppe Croce
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