La pesante eredità dell’ex Ilva: Taranto è tra le città più inquinate del mondo, secondo l’Onu

I cittadini che vivono nelle vicinanze dell’impianto “soffrono di malattie respiratorie, cardiache, cancro, disturbi neurologici e mortalità prematura”

Ha compromesso la salute dei cittadini e violato i diritti umani per decenni, causando un grave inquinamento atmosferico: così la produzione nell’impianto siderurgico Ilva ha infilato Taranto tra le città più inquinate del mondo.

A dirlo è il relatore speciale delle Nazioni Unite sugli obblighi in materia di diritti umani relativi al godimento di un ambiente sicuro, pulito e sostenibile, David R. Boyd, d’intesa con il Relatore speciale Marcos Orellana sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e lo smaltimento di sostanze e rifiuti pericolosi, nel rapporto annuale “The right to a clean, healthy and sustainable environment: non-toxic environment”,  pubblicato e approvato dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu il 12 gennaio scorso.

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Un ennesimo report in cui si chiedono invocano concreti provvedimenti che azzerino l’inquinamento per impedire la compromissione ambientale e le diseguaglianze sociali che, a loro volta, fanno sì, in varie zone del mondo, che diritti, come quello alla salute, siano del tutto pregiudicati.

La situazione di Taranto

Tra i luoghi più degradati in Europa occidentale, i relatori hanno individuato la zona dell’Ilva di Taranto, al pari di Quintero-Puchuncavi in Cile, Bor in Serbia e Pata Rat in Romania. L’Onu ha accertato insomma che la produzione nell’impianto siderurgico Ilva di Taranto ha compromesso la salute dei cittadini e violato i diritti umani per decenni, causando un grave inquinamento atmosferico.

I cittadini che vivono nelle vicinanze dell’impianto “soffrono di malattie respiratorie, cardiache, cancro, disturbi neurologici e mortalità prematura”.

taranto

©ONU

Il diritto a un ambiente salubre – dice Boyd – può essere garantito solo se si limita l’utilizzo di sostanze tossiche che colpiscono le persone più vulnerabili. Così, evidentemente non accade a Taranto dove le operazioni di pulizia e bonifica dovevano iniziare nel 2021 ma sono state rinviate al 2023, con azioni dei diversi governi che permettono all’impianto di funzionare non tenendo conto neanche della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo con la quale l’Italia, nel 2019, è stata condannata per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare di alcuni cittadini.

Quattro anni fa, la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale di alcune norme di uno dei tanti decreti pro Ilva, del 2015, sulla base della motivazione per cui, nella vicenda legislativa del siderurgico di Taranto, “il legislatore aveva privilegiato in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva e aveva, invece, trascurato del tutto le esigenze relative a diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve reputarsi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.)”. Da questa constatazione, secondo il Giudice delle leggi, derivava che “il sacrificio di tali fondamentali valori importa che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa, la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Nel 2019, la Corte europea per i diritti dell’uomo condannava l’Italia perché non ha protetto i cittadini di Taranto dalle emissioni nocive dell’ex Ilva e “per la violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto al rispetto della vita privata, e dell’art. 13 sul diritto a un ricorso effettivo, per l’inquinamento provocato dall’Ilva e, in particolare, per non avere adottato misure in grado di tutelare il diritto dei ricorrenti a vivere in un ambiente salubre”.

QUI il rapporto ONU.

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