La Cop26 si dimentica di Salomé e di tutte le donne native che rischiano la vita per difendere la foresta amazzonica

Sono molti gli indigeni (soprattutto donne) che si battono strenuamente per difendere i diritti umani e proteggere la propria terra

Sono molti gli indigeni (soprattutto donne) che si battono strenuamente per difendere i diritti umani e proteggere la propria terra. Per tutelarli Amnesty International ha lanciato una petizione

Oggi si concludono i lavori della Cop26: qualche fioco risultato in materia di tutela dell’ambiente e di riduzione delle emissioni inquinanti è stato raggiunto, ma sul piano umano molto resta ancora da fare. Continuano, infatti, senza sosta le rivendicazioni dei popoli nativi, che chiedono protezione per i fragili territori in cui vivono. Uomini e donne da anni rischiano la vita per difendere ciò che hanno di più caro: la loro identità, che si esprime anche e soprattutto attraverso la terra.

Salomé, leader del popolo Kichwa, da anni lotta per difendere la foresta amazzonica e il diritto delle donne della sua comunità a vivere in un ambiente sano e libero dal pericolo della violenza sessuale, ma non solo: negli anni ha denunciato più volte gli impatti ambientali delle operazioni petrolifere nel bacino del fiume Villano, in Ecuador.

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Qui vive con i suoi cari e dopo aver avvertito il presidente ecuadoriano Lenin Moreno dei rischi ambientali collegati alle attività petrolifere e aver denunciato i casi di violenze sessuali contro le donne indigene, Salomé e la sua famiglia sono stati attaccati e minacciati con pietre nella loro casa. Malgrado una denuncia formale alle autorità, non è stata inserita in nessun programma di protezione, né i suoi aggressori sono stati condannati.

Purtroppo Salomé non è la sola protettrice della foresta a subire attacchi per il suo attivismo ambientalista e a vivere sotto minaccia. Anche Margoth Escobar ha scelto di dedicare la sua vita a difendere l’ambiente e i diritti dei popoli nativi e nel 2015 è stata attaccata dalla polizia perché ha partecipato a uno sciopero contro il governo, accusata di “attacco e resistenza” alle forze dell’ordine.

Qualche anno dopo, nel 2018, la sua casa è stata bruciata in un incendio doloso: nonostante la denuncia e l’avvio di un’indagine, gli autori dell’incendio non sono stati ancora identificati. Nema Grefa, invece, è la presidentessa di nazionalità Sápara dell’Ecuador, da anni anche lei impegnata nella difesa del territorio amazzonico e del diritto del suo popolo a proteggere il proprio ambiente: la sua nomina è stata formalmente contestata nel 2018 da gruppi che sostengono le attività petrolifere sul territorio di Sápara e che rivendicano il titolo di presidente per uno dei loro membri. Sempre nel 2018, ha subito le minacce di un uomo armato che, malgrado sia stato identificato, non è stato ancora arrestato.

Per difendere Salomé e le altre protettrici dell’ambiente e dei diritti umani, l’associazione Amnesty International ha lanciato una petizione per

[…] avviare le indagini sugli attacchi e sulle minacce subite da Patricia Gualinga, Nema Grefa, Salome Aranda e Margoth Escobar immediatamente, esaustivamente, in modo indipendente e imparziale; indagare sulla possibilità che gli attacchi siano una conseguenza del loro lavoro in favore dei diritti umani, identificare tutti i responsabili materiali o intellettuale e consegnarli alla giustizia; progettare e attuare un protocollo di indagine per i reati contro le difensore dei diritti umani, al fine di rafforzare il coordinamento tra i meccanismi e le autorità responsabili delle indagini penali.

QUI è possibile firmare la petizione.

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Fonte: Amnesty International

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