Con Luca Mercalli, Presidente della Società Meteorologica Italiana, facciamo il punto sulla situazione di stallo in cui versa l'Italia.
In vista della Cop26, greenMe apre uno spazio di riflessione con una serie di esperti, scienziati e attivisti che sostengono la lotta contro la crisi climatica, per capire insieme cosa aspettarci dalla nuova Conferenza Onu di Glasgow e cosa fare perché abbia successo
“Non può esistere una crescita infinita in un Pianeta finito, più crescita significa più consumo di materie prime e quindi più inquinamento“: con Luca Mercalli, Presidente della Società Meteorologica Italiana e direttore della rivista Nimbus, facciamo il punto sulla situazione di stallo in cui versa l’Italia in fatto di ambiente e sulla tanto decantata transizione ecologica. E sul perché chi può deve adattarsi.
Sappiamo che la Cop26 dovrà essere uno step fondamentale nella lotta al cambiamento climatico. Se da un lato ha a favore una fetta di opinione pubblica più attenta al tema e report di scienziati che lanciano allarmi quotidianamente, dall’altro alcuni Governi hanno tentato di sabotare l’ultimo rapporto sul clima e, anzi, alcuni hanno anche disertato l’invito alla Conferenza. A Glasgow, insomma, le Nazioni riusciranno a trovare un accordo che salvi l’umanità?
Me lo auspico. Tutti noi sensibili ai temi climatici e ambientali ci auguriamo che escano delle decisioni incisive e finalmente risolutive, dopo un clamoroso ritardo di 30 anni nel prendere le misure corrette. Però, al di là degli auspici, tutto è nelle mani dei Capi di Stato, dei ministri, dei diplomatici, dei negoziatori. Su questo, noi normali cittadini o studiosi non abbiamo alcun potere. Quello che mi limito ad osservare è che i margini per una svolta sono molto modesti, manca una tensione sociale a livello internazionale.
Cioè il tema clima non è un tema per il quale la gente scende nelle piazze: a parte gli scioperi dei ragazzi dei Fridays for Future, il 90% della popolazione è assolutamente distratto da altre priorità e quindi, non essendoci nemmeno questo grande consenso sociale sul tema crisi ambientale, non vedo gli ingredienti di base perché a Glasgow ci siano delle vere e proprie svolte.
L’unico elemento nuovo, sul quale mi appoggio per avere un modestissimo lampo di ottimismo è il ritorno degli Stati Uniti, dopo quattro anni assenza di Trump. Sembra chiaro che Biden introdurrà forse un’accelerazione.
In Italia si parla tanto di transizione ecologica, anche se in molti non hanno ancora capito di cosa effettivamente si tratti. Il nostro Governo si sta mostrando davvero all’altezza della necessità di invertire la rotta?
Beh, innanzitutto è vera la prima parte della considerazione: nessuno ha ancora capito che cos’è la transizione ecologica. Soltanto gli addetti ai lavori sanno che è cosa ben diversa da quella che viene spacciata ora per transizione. Una transizione ecologica è qualcosa di estremamente complesso e non è un elenco di piccole ricette, ma una visione del mondo. Non si può fare transizione ecologica solo aggiungendo pannelli solari o pale eoliche, questo sicuramente è un pezzo della soluzione ma bisogna vedere il complesso della crisi ecologica e climatica e arrivare ad azioni in tutti i settori e soprattutto si deve avere anche il coraggio di chiudere i settori che fanno danni. Il che mi sembra il grande assente della transizione di oggi. Cioè c’è solo il tentativo di aggiungere qualcosa di “verde”, soprattutto in campo energetico, e non vedo il coraggio di riconoscere di dover fermare l’emorragia laddove ci sono le ferite aperte.
Mi viene in mente, allora, la Legge per bloccare il consumo di suolo ferma in Parlamento dal 2012…
Un esempio clamoroso, quella legge è una legge urgentissima ed è una delle prime cose che farei se io fossi ministro. Bisogna fermare questa perdita irreversibile che ha a che fare col clima, col rischio idrogeologico, persino col turismo. Queste sono le cose da fare per una vera transizione: fermare i processi che creano danni da un lato e dall’altro arrivare a nuove soluzioni. Ma è necessario anche avere il coraggio di discutere di sistema economico: ormai non può esistere una crescita infinita in un Pianeta finito e questa verità fisica non è tenuta in conto dal modello economico che invoca invece la soluzione di problemi ecologici con più crescita. Le due cose non possono stare insieme: più crescita significa più consumo di materie prime e più inquinamento.
Quella legge è ferma perché ci sono interessi economici enormi e ostruzionismi, è inutile girarci intorno. E poi ci sono le contraddizioni: il premier Draghi è andato a parlare a Greta a Milano e dice “certo vi ascolteremo” e poi il Consiglio dei Ministri propone il termine anticipato dell’ecobonus per la ristrutturazione energetica, creando dei danni giganteschi all’intera filiera oltre che rallentando l’obiettivo tecnico dell’ecobonus stesso, che è quello di rendere le abitazioni degli italiani a basso consumo energetico e favorire le rinnovabili.
Se mi dite “mancano i soldi” perché non proviamo a toglierli dalle spese militari? Eppure nel nostro Paese corriamo tutti i rischi climatici: maggiore siccità, incendi, aumento del livello del mare avendo 8mila chilometri di coste, maggiori alluvioni, riduzione dei ghiacciai.
Tornando al dibattito pubblico, in illo tempore, il suo Scala Mercalli ha avuto il merito di far arrivare al grande pubblico temi considerati fino a quel momento quasi di nicchia. Ma poi? Perché in TV si parla ancora così poco di crisi climatica oppure solo in relazione ad eventi meteorologici estremi?
Questo è inspiegabile. Nel momento in cui il tema diventa sempre più importante, l’informazione toglie opportunità. Lo trovo un cattivo servizio pubblico, considerando che stiamo parlando delle reti che devono informare i cittadini italiani. Nessuno mi leva dalla testa che i temi trattati possano infastidire qualcuno.
Nel suo libro “Salire in montagna – prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale” racconta la sua scelta di trasferirsi in una baita in Val di Susa a più di 1600 metri, ristrutturata rispettando i criteri di sostenibilità ambientale. È un monito all’adattamento, contemplato, tra l’altro dalla Cop26…
È una narrazione dell’adattamento. Invece di fare il solito saggio divulgativo sui problemi del clima, questa volta ho raccontato una storia personale. Anche questo è importante nella comunicazione: colpire un po’ di più il lato emotivo delle persone e non solo quello razionale. Raccontando una storia vissuta in prima persona, da un lato ho fatto vedere come il problema climatico ormai incida sulle nostre vite. Io ho fatto una scelta di adattamento per scappare proprio dall’eccesso di caldo delle quote più basse, però sotto un altro punto di vista non è solo una fuga ma anche la costruzione di uno scenario sociale nuovo, quindi recupero dei borghi disabitati con i metodi migliori dell’architettura sostenibile.
Ci sono quindi dentro gli ingredienti dell’adattamento un po’ come sconfitta, è ovvio che se ci si deve adattare questo interpreta la sconfitta della prevenzione. Però allo stesso tempo è una sconfitta a metà, perché ci sono dentro le applicazioni di tutte quelle buone pratiche da estendere poi alle masse.
Allora le lancio una provocazione: a me sembra più un “si salvi chi può…”
Chi offre soluzioni per tutti è un impostore in genere, nessuno ha la soluzione vincente, quella che salverà tutti e 8 miliardi di persone. Quelli che la propongono usano il bla, bla, bla di Greta, per dirla tutta. Allora io ho ritenuto fosse più onesto suggerire una delle possibili forme di adattamento, evidentemente per i territori dove la montagna c’è e per chi è in grado di farlo, per mille circostanze, per esempio l’accesso al telelavoro. Ci sono un sacco di terreni agricoli abbandonati, poi, che possono diventare il lavoro per piccole aziende familiari o di giovani. Chiaro che non esiste la soluzione che vada bene per tutti, è un problema variegato e ognuno proporrà la sua ricetta.
Insomma la mia è una mia storia che ho potuto raccontare e se non possibile per tutti, almeno lo è per alcuni milioni di persone, perché in Italia c’è spazio per alcuni milioni di persone nei paesi abbandonati di Appennini e Alpi.
Cosa si aspetta dalla Cop26?
Con l’emozione mi aspetto molto, con la ragione mi aspetto poco.
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