I nativi delle Ande, la chiamano Pacha Mama e la venerano come se fosse una divinità. Noi non riusciamo a portarle neanche rispetto. E quando con un summit abbiamo provato a salvarla, abbiamo fallito miseramente. Ora tocca a loro, agli indigeni del Sud America, cercare di “fermare la febbre” di Madre Natura. Si apre oggi in Bolivia la prima Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra (Cmpcc) che sta radunando a Cochabamba oltre 15.000 persone tra scienziati, rappresentanti delle Ong e sindacalisti (ma anche qualche eco-vip come la sociologa canadese Naomi Klein).
I nativi delle Ande, la chiamano Pacha Mama e la venerano come se fosse una divinità. Noi non riusciamo a portarle neanche rispetto. E quando con un summit abbiamo provato a salvarla, abbiamo fallito miseramente. Ora tocca a loro, agli indigeni del Sud America, cercare di “fermare la febbre” di Madre Natura. Si apre oggi in Bolivia la prima Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra (Cmpcc) che sta radunando a Cochabamba oltre 15.000 persone tra scienziati, rappresentanti delle Ong e sindacalisti (ma anche qualche eco-vip come la sociologa canadese Naomi Klein).
Una “conferenza dei popoli” sul riscaldamento globale alla quale parteciperanno delegati provenienti da tutto il mondo per trattare argomenti come i rifugiati climatici, il Protocollo di Kyoto, la2“> riduzione delle emissioni di CO2. Un copione già visto? No perché quella di Cochabamba è cosa ben diversa dalla Conferenza di Copenahgen. A partire dal luogo scelto, una cittadina dell’altipiano boliviano a 2.500 metri sul livello del mare che, alla luce della grande affluenza, si trova di fronte al problema di dove ospitare tutti i vari rappresentanti avendo a disposizione solo 1.600 camere, ma che conserva intatte molte delle tradizioni andine.
Anche la scelta del logo del Cmpcc è un chiaro segnale della diversa prospettiva di approccio: molto più colorato della tecnologica quanto fredda palla blu del summit di Copenaghen, il simbolo disegnato dalla Bolivia vuole trasmettere tre messaggi particolari, a cominciare dalla rappresentazione del planisfero opposta a quella tradizionale in cui solitamente il Nord del mondo e in particolare gli Stati Uniti, sono in primo piano. Qui invece è il Sud ad essere in alto in un mondo sorretto da un indigena che si carica sulle spalle tutta la responsabilità di prendersi cura della Terra. Sullo sfondo poi si può distinguere una wiphala che è il simbolo dell’interculturalità dei popoli: una diversità di colori che rappresentano le diverse culture che, condividendo lo stesso spazio devono per forza di cose trovare una nuova direzione comune.
Ed è per questo che i 17 gruppi di lavoro oltre che di climate change discuteranno anche di temi come “Armonia con la natura e benessere”, diritti della Madre Tierra, Popoli indigeni. Molto diversa sarà anche la cerimonia di inaugurazione: un rituale ancestrale nel quale i nativi faranno offerte alla Pacha Mama.
Il brainstorming sulle Ande alla quale parteciperanno quasi tutti gli Stati dell’America Latina, ma anche il Gran Consiglio dei Popoli nativi del Canada, degli Usa e dei diversi Paesi africani ed asiatici vuole essere proporsi insomma come una conferenza alternativa in grado però di influenzare l’agenda mondiale sul clima dando voce a “chi non ha voce”, ma è la maggiore vittima del riscaldamento globale.
È per questo che la Bolivia ha anche proposto l’istituzione di un Tribunale internazionale della giustizia climatica a cui far giudicare quei governi e quelle imprese che attentano alla vita del pianeta. Inoltre ha anche annunciato la volontà di dare vita ad un’organizzazione mondiale alternativa all’Onu nel caso in cui quest’ultimo continuerà ad ignorare le denunce dei popoli nativi.
«Dal 19 al 23 la Bolivia sarà la vetrina del mondo, perché avrà molta stampa internazionale e prima noi dovevamo pregare per avere accesso ai mezzi di comunicazione – ha dichiarato il presidente boliviano Evo Morales all’indomani della Conferenza – Mai prima d’ora si era verificato un evento di questa grandezza, che unisce i movimenti sociali dei cinque continenti. Sono sicuro che con questo faremo la storia e questo non solo per la Bolivia, ma anche per l’America e, chi lo sa, per il mondo. Alla Conferenza mondiale assisteranno popoli indigeni dei cinque continenti per discutere dei problemi ambientali mondiali e conoscere iniziative alternative che affrontano il problema che colpisce l’umanità, dopo il fallimento della Conferenza di Copenhagen».
E questo summit sarà propri l’occasione per chiedere formalmente di includere i delegati indigeni nella prossima Conferenza Onu di Cancun come partecipanti e non più come figuranti o osservatori. Perché è proprio da punti di vista alternativi che può giungere la soluzione. Come ci tiene a precisare Rafael Quispe, indio aymara del principale consiglio indio di Bolivia, “il cambiamento climatico non è solo un problema ambientale, tecnologico o finanziario, ma di stile di vita, di di modello occidentale di cupidigia capitalista“.
La Cmpcc, durante la quale è stata proibita la vendita e il consumo di alcool sul territorio nazionale, si concluderà con un grande evento di massa previsto per il 22 aprile, il Día Internacional de la Madre Tierra.
Simona Falasca