India, Cina, Russia, Turchia e gli altri: chi sono i grandi assenti dell’accordo sul metano della Cop26 (anche nell’Unione Europea)

Anche alcuni paesi dell'Unione Europea sembrano anteporre gli interessi nazionali all'impegno per la difesa del clima 

Cina, Russia, India e Turchia non hanno aderito all’accordo sottoscritto da oltre 100 Stati per la riduzione del 30% delle emissioni di metano rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030. Ma anche 8 Paesi europei mancano all’appello

Non solo le potenze economiche emergenti, come Cina e India, ma anche alcuni Paesi dell’Unione Europea sembrano anteporre gli interessi nazionali all’impegno per la difesa del clima.

I riflettori del mondo sono puntati su Glasgow e sulle decisioni prese in difesa del clima e dell’ambiente nell’ambito della Cop26. Sono stati presi già alcuni importanti impegni da parte dei partecipanti alla Conferenza delle Parti – come lo stop alla deforestazione entro il 2030 (siglato da 120 Paesi) e l’impegno a ridurre del 30% le emissioni di gas metano, sempre entro il 2030 (il cosiddetto Global Methane Pledge, a cui hanno aderito 103 Paesi del mondo).

Inoltre, nell’ambito del G20 che si è svolto la settimana scorsa a Roma, i “grandi” della Terra hanno confermato l’impegno preso in occasione degli Accordi di Parigi sul clima, confermando di contenere l’aumento delle temperature globali entro +1,5°C per la fine del secolo, arrivando alla neutralità climatica entro il 2050.

Sul clima NON siamo tutti d’accordo

Sembrerebbe che i politici di tutto il mondo si stiano impegnando davvero per invertire la rotta che ci sta portando verso l’autodistruzione, adottando misure concrete di contrasto all’inquinamento e di tutela dell’ambiente – ma purtroppo non è così. Se da una parte in molti ritengono ancora troppo poco ambiziosi gli obiettivi raggiunti, ci sono Paesi che hanno preso persino le distanze da queste misure, ritenendo più importante salvaguardare i propri interessi nazionali e le proprie economie.

Grandi potenze a livello internazionale come Brasile, Cina, Russia e Turchia hanno scelto di non sedere al tavolo della Cop26 – malgrado i loro governi contribuiscano massicciamente all’inquinamento planetario e siano incalzati da più parti a prendere impegni concreti nella lotta ai cambiamenti climatici.

Russia, Cina e India, inoltre, allontanano il termine di raggiungimento della neutralità carbonica di dieci (Russia e Cina) e di venti anni (India) rispetto al limite concordato al G20.

Ma proprio l’India ha dal canto suo proprio in queste ore si è dichiarata pronta a portare al 50% entro il 2030 la quota di rinnovabili nel mix energetico. A tale proposito leggi: Cop26: gli impegni già raggiunti limiterebbero per la prima volta il riscaldamento globale a 1,9 °C

La Cina, in particolare, prevede il raggiungimento del picco massimo di emissioni entro la fine del decennio, prima di iniziare la discesa verso la neutralità climatica, e si dice non disposta a ridurre i propri livelli di inquinamento perché questo minerebbe allo sviluppo dell’economia nazionale. In un videomessaggio inviato al summit, il presidente russo Putin ha sottolineato lo sfruttamento degli ecosistemi forestali e della loro capacità di assorbire anidride carbonica per produrre ossigeno raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2060.

Il fallimento del Global methane pledge

Ma anche all’interno dell’Unione Europea ci sono alcuni bastian contrari. Otto Paesi membri non hanno firmato l’iniziativa Global methane pledge presentata ieri dalla Presidente Ursula von der Leyen:

  • Austria;
  • Polonia;
  • Romania;
  • Slovacchia;
  • Repubblica Ceca;
  • Ungheria;
  • Lettonia;
  • Lituania.

L’adesione dell’Unione non è compatta è unitaria, ma ogni Paese viene lasciato libero di aderire autonomamente – e questo dimostra profonde differenze di approccio alla crisi climatica da parte dei 27. I Paesi dell’est Europa sono ancora profondamente dipendenti dal carbone e dalle altre fonti energetiche non rinnovabili: sono da annoverarsi fra i principali inquinatori del vecchio continente, eppure non si mostrano intenzionati ad accelerare il processo di transizione ecologica, preferendo sostenere gli interessi nazionali.

C’è poi un’altra questione, oltre ai grandi assenti, che denota il fallimento dell’accordo sulla riduzione delle emissioni di metano: il piano ignora del tutto gli allevamenti intensivi di bestiame e il loro impatto sull’atmosfera in termini di produzione di metano e altri gas serra. S

econdo l’associazione ambientalista Greenpeace, il vero freno d’emergenza è rappresentato dalla riduzione degli allevamenti intensivi: la riduzione nella produzione di carne e latticini rappresenterebbe la soluzione più immediata ed efficace per ridurre il metano a breve termine perché questo gas si dissipa rapidamente – in pratica, se le mucche produttrici di metano non vengono rimpiazzate alla loro morte, le loro emissioni smetteranno presto di riscaldare il Pianeta.

Insomma, gli accordi di cui stiamo sentendo parlare in questi giorni non potranno avere davvero successo se non c’è l’impegno di tutti e, a quanto sembra, non tutti i Paesi sono disposti a scendere a compromessi accettabili per il Pianeta.

Leggi tutto sulla Cop26.

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