Il Tribunale di Torino infatti ha condannato in primo grado De Cartier e Schmidheiny a 16 anni di reclusione obbligandoli nell'ambito del Processo Eternit
Processo Eternit, . Il Tribunale di Torino ha emesso le sentenze di condanna per i due indagati, il miliardario svizzero 65enne Stephan Schmideiny (ex presidente del consiglio di amministrazione dell’Eternit AG) e il barone belga ultranovantenne Jean Louis Le Cartier, sempre assenti a tutte le udienze del processo.
L’attesa condanna è pari a 16 anni, contro i 20 chiesti dalla Procura. Le accusa, lo ricordiamo, sono disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. Ma facciamo un passo indietro. La società Eternit, sebbene tra gli anni ’50 e ’60 fosse stato accertato che il pericoloso materiale fosse legato ad alcune gravissime patologie polmonari, continuò fino al 1992 a produrlo e utilizzando anche l’amianto blu, quello più pericoloso, fino al 1986.
Due parole, mesotelioma pleurico, hanno fatto tremare in questi anni il Piemonte, da Casale Monferrato a Cavagnolo, ma anche Broni, nel pavese, e Bari. Fino al 1992, quando l’ultimo manifatto uscì dagli stabilimenti di Broni. E le fibre di amianto intanto avevano disseminato migliaia di morti. Si parla di circa 3mila vittime connesse all’assorbimento della polvere di amianto. Soprattutto a Casale Monferrato e nella provincia di Alessandria dove il numero di morti e di contaminati da amianto è davvero elevato, con oltre 1600 decessi.
E non è tutto. Solo considerando il pediodo 2009-2011, nel centro piemontese sono stati registrati 128 nuovi casi di persone ammalate. Un mostro silenzioso, che continuerà a mietere vittime visto che il periodo di incubazione della malattia è di circa 30 anni
A quasi 3 anni dall’inizio del dibattimento, partito il 6 aprile 2009, giungono così le prime condanne. Avviato da Raffaele Guariniello, il processo oggi ha regalato un momento storico a quanti ancora attendono giustizia. Il Tribunale di Torino, infatti ha condannato in primo grado De Cartier e Schmidheiny a 16 anni di reclusione obbligandoli anche al risarcimento di 3000 parti civili.
Le parti civili coinvolte nel processo però sono 6.392, con varie richieste di risarcimento che vanno da poche migliaia di euro a diversi milioni. Va ricordata anche la cifra chiesta dalla Regione Piemonte, pari a 69 milioni di euro, che non solo è la più alta del processo ma anche rispetto a qualsiasi causa mai intentata nel Vecchio Continente per morti, patologie, e inquinamento connesse all’amianto.
Un caso destinato a rimanere nella storia visto che per la prima volta al mondo dei vertici aziendali vengono condannati per disastro ambientale aggravato.
“Una sentenza esemplare che restituisce giustizia a migliaia di persone e famiglie che hanno sopportato e sopportano ancora un vero calvario. Ci sono voluti più di trent’anni di lotta per affermare che l’amianto uccide e finalmente, da oggi, questo non potrà più essere messo in dubbio. Il caso italiano sia ora d’esempio e faccia giurisprudenza nel mondo, soprattutto nei Paesi dove l’amianto continua ad essere estratto e lavorato e continua silenziosamente a mietere vittime” – commenta il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza.
Ricordiamo che anche Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta si è costituita parte civile al processo e ha assistito alla lettura della sentenza di primo grado che ha condannato i due imputati:”Fin dall’inizio ci siamo schierati dalla parte dei familiari delle vittime – ha dichiarato Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – in molti casi amici, come Luisa Minazzi, storica esponente di Legambiente e simbolo della battaglia per la giustizia condotta dalle vittime dello stabilimento Eternit a Casale Monferrato. Questa sentenza è sicuramente un risultato storico per la tutela dei lavoratori ma anche per la salute dei cittadini che ancora oggi, spesso inconsapevolmente, sono esposti al rischio amianto“.
“La condanna dell’Eternit è giusta ed era inevitabile” commenta Corrado Clini in una nota “Il problema vero oggi in Italia è che, nonostante l’impegno del Ministero dell’ambiente in questo campo e le ingenti risorse impiegate (circa 50 milioni di euro solo nelle aree industriali più inquinate, i cosiddetti SIN, Siti di Interesse Nazionale), non abbiamo ancora una mappatura completa dei siti che devono essere risanati per l’inquinamento da amianto. Si tratta di decine di migliaia di realtà, dalle più piccole alle più grandi, e per le quali il monitoraggio avviato con le Regioni non è stato ancora concluso. Speriamo che la sentenza su Casale Monferrato faccia da battistrada e da stimolo per consentire una piena e completa conoscenza del problema a livello nazionale e per avviare un serio, organico programma di bonifiche.
Francesca Mancuso