Poco importa che siano dannose per l'ambiente e per la nostra salute. Le fonti fossili in Italia continuano a essere finanziate anche coi nostri soldi. Ogni anno, esse ricevono qualcosa come 18,8 miliardi tra sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi
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Poco importa che siano dannose per l’ambiente e per la nostra salute. Le fonti fossili in Italia continuano a essere finanziate anche coi nostri soldi. Ogni anno, esse ricevono qualcosa come 18,8 miliardi tra sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi.
A rivelarlo è il nuovo dossier “Stop sussidi alle fonti fossili” di Legambiente, secondo cui nel nostro paese stiamo vivendo un paradosso. Anche se gli effetti dei cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti, l’Italia va nella direzione opposta e invece di limitare la produzione di gas serra riducendo il ricorso alle fonti che ne sono responsabili, continua a sostenerle.
Eppure, sottolinea l’associazione, ci sono tutte le condizioni per accorciare i tempi dell’uscita dalle fonti fossili e contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi centigradi, visto che le fonti rinnovabili sono competitive per tanti usi.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2017 le fonti fossili hanno ricevuto nel mondo almeno 300 miliardi di dollari, 30 milioni in più rispetto al 2016. La fetta più grande è andata al petrolio, che ne ha ricevuto il 45%, quasi 137 miliardi. Il 23% è andato al gas, ossia 57miliardi di dollari e 2 miliardi al carbone.
In Italia come sono distribuiti tutti gli aiuti alle fossili?
“Sussidi alle trivellazioni, CIP6 alle fonti assimilate, extra-costi per le isole minori, sussidi indiretti alle aree geograficamente svantaggiate, esenzioni per imprese energivore, finanziamenti pubblici, contributi a impianti e centrali, incentivi alla gassificazione da fossili, esenzioni oneri di sistema, garanzie e prestiti pubblici, elusioni reti interne”, è questo il lungo elenco degli aiuti che favoriscono le fonti fossili.
Ecco quanto abbiamo speso per ogni singola voce.
Sussidi alle trivellazioni
Uno dei maggiori punti critici riguarda le royalties, pari al 10% per le estrazioni in terra ferma e al 7% per quelle in mare. Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, Eni (ed Eni Mediterranea Idrocarburi S.p.A.) per l’estrazione di gas e petrolio del 2017 ha versato un importo complessivo di 117.514.111 euro, di cui 53,3 milioni allo Stato, 52,5 milioni alle Regioni coinvolte e 7,5 milioni di euro ai Comuni. Per dare un’idea, in Norvegia le royalties sono in media del 78%, nel Regno Unito oscillano tra il 68 e l’82%, in Danimarca il sistema non esiste più e il prelievo fiscale è pari al 77%.
Che fare? Secondo Legambiente, il minimo sarebbe adeguare le nostre royalties almeno al 30%. In questo modo, invece di 117,5 milioni ci troveremmo a incassare 414 milioni di euro.
Esenzioni
Le nostre leggi prevedono un esenzione dal pagamento di aliquote allo Stato per le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, per le prime 50 mila tonnellate prodotte in mare, per i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e per i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare.
Cifre non da poco. Ma non basta. Le produzioni in regime di permesso di ricerca sono addirittura gratis, ossia non pagano alcuna aliquota. Numeri alla mano, se si considerano i dati forniti dal ministero dello Sviluppo Economico, parliamo di 434.580 tonnellate di petrolio estratte nel 2017 (10,5% del totale) e di 2.202 milioni di Smc pari al 38,9% del totale.
Tradotto in cifre, sono circa 58 milioni di euro di mancati introiti per lo Stato, di cui circa 36,4 milioni euro da parte di Eni e 4 milioni circa da Edison.
I canoni sono appena stati aumentati di 25 volte, ma le cifre sono comunque irrisorie: si passa da 2,58 euro per kmq per i permessi di prospezione a 64,5, da 5,16 euro per i permessi di ricerca a 129, da 41 euro a 1.033 per le concessioni di coltivazioni.
Finanziamenti pubblici a progetti internazionali
Non sono poche. Tra il 2017 e il 2018 sono state almeno 10 le operazioni che hanno coinvolto una o più società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti a sostegno del settore Oil&Gas. In totale abbiamo speso 2,21 miliardi di euro, 1,49 miliardi nel 2018.
Esenzioni e le riduzioni per l’utilizzo di combustibili fossili in diversi settori
Sono ben 28 voci di sussidio alle fonti fossili che entrano direttamente nel bilancio dello Stato sotto forma di detrazione e/o riduzione di accise, sconti diretti e indiretti. L’ammontare complessivo è di, udite udite, 3.380,8 milioni di euro.
Extracosti per le isole minori
Essi finiscono in bolletta e ammontano a 64 milioni di euro. A cosa servono? Vengono utilizzati per coprire i costi di piccole aziende elettriche che operano sulle isole minori, con consumi di poche decine di GWh/anno e una produzione complessiva di circa 200 GWh.
“A questi vanno aggiunti 10 milioni di euro destinati alle 8 isole non interconnesse e ammesse al “regime di reintegrazione dei costi per attività di produzione”, produzioni molto basse, anche in questo caso a spese dagli utenti finali. Nati in un’ottica condivisibile, questi incentivi sono diventati, però, nel tempo un freno all’innovazione e una voce che ripaga la produzione di centrali vecchie e inquinanti in regime di monopolio dove l’operatore controlla anche la rete, impedendo di fatto lo sviluppo di impianti da fonti rinnovabili” spiega Legambiente.
Sconti ed esenzioni per il settore Oil&Gas
Il settore Oil&Gas riceve anche 6.981,96 milioni di euro direttamente e indirettamente sotto forma di sconti ed esenzioni, secondo il Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli pubblicato dal Ministero dell’Ambiente nel 2017. A destare scalpore sono soprattutto le esenzioni dalle accise di cui beneficia il trasporto aereo, pari a 1,5 miliardi di euro annui.
Contributi a impianti e centrali attraverso la componente PD della bolletta elettrica destinata alla copertura dei costi di dispacciamento
Queste spese servono a sostenere i servizi che garantiscono l’equilibrio tra l’energia immessa nel sistema e quella prelevata. Essi sono costati nel 2017 ai contribuenti 327,5 milioni di euro.
Sconto sugli oneri di sistema alle “aziende energivore”
Come se non bastasse, nelle nostre bollette grava anche la cosiddetta componente Asos, lo sconto sugli oneri di sistema alle cosiddette “aziende energivore”, ossia di quelle con un consumo annuo superiore ai 2,4 GWh di energia elettrica e con un indice di intensità energetica superiore al 2%. A quanto ammontano? Nel 2017 erano 689 milioni di euro nel 2017.
“Le fonti rinnovabili sono sempre più competitive: basterebbe eliminare questi sussidi per sostituire centrali inquinanti con impianti puliti. Già con la legge di stabilità 2019 si potrebbero avere risorse da investire per incrementare i fondi necessari al funzionamento del Servizio Sanitario nazionale, per l’Università e la Scuola, per i pendolari attraverso il fondo trasporti, per la messa in sicurezza e l’adattamento dei territori ai cambiamenti climatici” ha detto la responsabile Energia di Legambiente Katiuscia Eroe.
Eppure ancora oggi, nel terzo millennio, continuiamo a sostenere economicamente le fonti più inquinanti, che non fanno altro che danneggiare il pianeta e i suoi abitanti per ingrassare le casse di pochi.
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Francesca Mancuso