Fotovoltaico senza sole. Un ossimoro bello e buono direte voi. No stando all'ultima innovazione proveniente dai fervidi laboratori del MIT che, dopo aver messo a punto di recente le celle solari di carta, la foglia solare artificiale per scaldare la casa e le celle solari 3D, tornano a stupire con un nuovo sistema di conversione dell'energia fotovoltaica in grado di produrre elettricità anche in assenza di luce diretta e sfruttando il calore di qualsiasi fonte.
Un principio questo di certo non rivoluzionario, come del resto la nanotecnologia con la quale è stato ricreato che è sempre più utilizzata nella ricerca sulle celle solari del futuro.
Quello che però ha del rivoluzionario nella ricerca “Sun free photovoltaics” pubblicata anche nell’autorevole rivista Physical Review, è proprio l’applicazione della nanotecnologie al principio di convertire il calore in luce che permette di rendere più efficiente il nuovo sistema rispetto a tutti i precedenti tentativi.
La chiave di questa rivoluzionaria innovazione risiede, infatti, come spiegato nel sito del MIT, risiede in un materiale con miliardi di “pozzi” in scala nanometrica incisi sulla superficie delle celle solari. Quando il materiale assorbe calore – dal sole, da un fuoco di idrocarburi o da qualsiasi altra fonte – la superficie “butterata” irradia energia in primo luogo a queste lunghezze d’onda accuratamente scelte. Partendo da questo i ricercatori del MIT hanno dapprima realizzato un generatore di corrente alimentato da butano delle dimensioni di un pulsante con un’autonomia tre volte superiore rispetto ad una batteria al litio dello stesso peso che può essere ricaricato all’istante semplicemente inserendo una piccola cartuccia nuova di combustibile.
Seguendo lo stesso principio i ricercatori hanno messo a punto anche un altro dispositivo che, alimentato da un radioisotopo che produce costantemente calore dal decadimento radioattivo, potrebbe generare elettricità per 30 anni senza rifornimento di carburante e senza manutenzione. Uno strumento che potrebbe rappresentare, ad esempio, una fonte ideale di energia elettrica per un veicolo spaziale in missione lontano dal Sole.
Anche perché, stando a quanto affermato dalla US Energy Information Administrator, il 92 per cento di tutta l’energia che utlizziamo prevede la conversione di calore in energia meccanica, e quindi spesso in energia elettrica. I sistemi meccanici di oggi, però – come ad esempio l’utilizzo di combustibile per bollire l’acqua e far girare una turbina – hanno un efficienza relativamente bassa e non possono essere ridotti in dispositivi di piccole dimensioni necessari ad apparecchi come, ad esempio, smartphone o monitor medicali.
“Essere in grado di convertire il calore da varie fonti in energia elettrica senza parti in movimento avrebbe portato enormi benefici – afferma Ivan Celanovic ScD ’06, ingegnere ricercatore del MIT che ha coordinato la ricerca – soprattutto se potremmo farlo in modo efficace, relativamente a buon mercato e su piccola scala”.
La soluzione di Celanovic è stata quella di utilizzare cristalli fotonici di tungsteno, materiale che quando si riscalda genera luce contro uno spettro di emissione alterata grazie alle “micro buche” realizzate sulla sua superficie, ciascuna delle quali si comporterebbe in pratica come una piccolissima “cassa di risonanza” capace di sprigionare radiazioni solo a determinate lunghezze d’onda. I chip così realizzati contengono, in pratica, dei veri e propri cristalli fotonici su entrambe le facciate piane e minuscoli tubi esterni per l’iniezione di combustibile e aria, oltre che per l’espulsione dei prodotti di scarto. Dei veri e propri micro-reattori a cui aggiungere una cella fotovoltaica montata contro ogni facciata per convertire le lunghezze d’onda della luce emessa in energia elettrica.
“A quel punto, il nostro generatore TPV potrebbe alimentare il vostro smartphone per una settimana intera senza essere ricaricato“, afferma soddisfatto. Celanovic anche se la costruzione di sistemi pratici richiede l’integrazione di molte tecnologie e campi di competenza. “E ‘uno sforzo davvero multidisciplinare”, dice Celanovic. “Ed è un chiaro esempio di come la ricerca nei materiali risulti fondamentale e in grado di consentire un intero spettro di applicazioni per la conversione ad alta efficienza energetica.“