Il progetto SOLARIS dell'ESA e l'iniziativa giapponese OHISAMA stanno aprendo nuove frontiere nella trasmissione di energia solare dallo spazio alla Terra, sfruttando tecnologie avanzate per migliorare l'efficienza energetica e la sostenibilità a livello globale
L’energia solare spaziale ha una lunga storia. Nel 1958, il satellite Vanguard 1 degli Stati Uniti fu il primo veicolo spaziale a utilizzare un pannello solare per alimentare un trasmettitore radio. Anche se il satellite smise di funzionare dopo alcuni anni, è ancora in orbita, rappresentando il più antico oggetto artificiale in orbita intorno alla Terra. Vanguard 1 ha aperto la strada all’uso dell’energia solare nello spazio. Oggi, la Stazione Spaziale Internazionale è dotata di oltre 400 metri quadrati di pannelli che forniscono un’energia 240.000 volte superiore rispetto al piccolo impianto di Vanguard 1.
Se è possibile fornire energia solare ai veicoli spaziali, questa energia rinnovabile potrebbe essere trasmessa continuamente e costantemente alla Terra con maggiore efficienza, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche? Questo è l’obiettivo del progetto SOLARIS, su cui l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) si concentrerà nei prossimi anni.
Il progetto SOLARIS
Il progetto SOLARIS, avviato nel 2023, mira a generare energia nello spazio per utilizzarla sulla Terra. Diversi esperti nel campo delle tecnologie fotovoltaiche, delle reti e dello stoccaggio partecipano a questa iniziativa. I contributi iniziali includono l’identificazione preliminare dei potenziali modelli di business e la determinazione delle dimensioni delle centrali solari in orbita, oltre alle linee guida di base per l’installazione delle stazioni di ricezione dell’energia dallo spazio.
L’idea è di installare centrali solari spaziali a 36.000 km dalla superficie terrestre, in un’orbita geostazionaria. In questo modo, i pannelli solari sarebbero esposti al Sole quasi tutto il giorno, producendo energia in modo costante, tranne per pochi giorni all’anno durante gli equinozi, a causa dell’ombra conica della Terra. I pannelli solari spaziali sono più leggeri e multi-giunzione rispetto a quelli utilizzati sulla Terra, composti da più strati di materiali semiconduttori capaci di assorbire diverse parti dello spettro solare, incrementando l’energia estratta dalla stessa superficie esposta. Utilizzano materiali come l’arseniuro di indio o l’arseniuro di gallio, con un’efficienza attuale del 30%, che si prevede possa raggiungere il 40% entro dieci anni (contro il 21-22% dei pannelli terrestri).
La prima data importante per il progetto SOLARIS è fissata per il 2025, quando sarà necessario valutare l’effettiva efficienza di trasmissione: quanto dell’energia prodotta in orbita raggiungerà la Terra. La trasmissione avverrà attraverso un sistema wireless, non tramite un cavo gigante o un ascensore spaziale. L’energia verrà trasmessa sotto forma di microonde e “catturata” da una serie di antenne che la convertiranno in elettricità per la rete. La prima trasmissione di energia dallo spazio è avvenuta nel 2023 grazie alla tecnologia sviluppata dal California Institute of Technology e utilizzata dal satellite Space Solar Power Demonstrator (SSPD-1), che ha acceso due luci LED dimostrando la fattibilità tecnica.
La sfida attuale riguarda la fattibilità industriale ed economica del processo. Una centrale da un gigawatt avrebbe un peso di circa 11.000 tonnellate e richiederebbe 100 lanci per portare tutto il materiale in orbita. Per essere economicamente sostenibile, l’efficienza di trasmissione dovrebbe superare il 90%. Se tutto andrà bene, il prossimo passo, intorno al 2030, sarà l’invio in orbita della prima fattoria solare da 1 MW, già assemblata e capace di estensione automatica.
Dopo il 2030, verranno sviluppate centrali sempre più potenti, fino a raggiungere 1 gigawatt di capacità installata tra il 2040 e il 2045, per avviare una reale applicazione commerciale della nuova tecnologia. Le centrali solari spaziali standard da 1 GW saranno strutture metalliche con pannelli fotovoltaici montati in parallelo su un’area di circa cinque chilometri quadrati, con una grande antenna di trasmissione. Sulla Terra, altre antenne, distribuite su circa 25 chilometri quadrati, riceveranno le microonde. Una capacità installata di un gigawatt nello spazio può produrre sei o sette volte più energia rispetto a una installata sulla Terra, praticamente 24 ore su 24.
Il progetto OHISAMA
Anche il Giappone sta esplorando la possibilità di utilizzare l’energia solare spaziale. Il progetto OHISAMA, previsto per il lancio nel 2025, intende dimostrare la fattibilità della trasmissione di energia solare dallo Spazio alla Terra. Gli scienziati giapponesi hanno già dimostrato la trasmissione wireless dell’energia solare a terra da una fonte stazionaria e pianificano di condurre una trasmissione da un aereo per il prossimo dicembre 2024. L’aereo sarà dotato di un pannello fotovoltaico identico a quello che volerà nello spazio e trasmetterà energia su una distanza di 3-4 miglia (5-7 km). Il progetto mira a utilizzare un pannello fotovoltaico di 2 metri quadrati a bordo di un veicolo spaziale per caricare una batteria, che poi trasformerà l’energia accumulata in microonde da trasmettere verso un’antenna ricevente sulla Terra.
Il progetto SOLARIS e le iniziative come OHISAMA stanno spingendo i limiti della tecnologia solare, fungendo da catalizzatori per lo sviluppo di celle fotovoltaiche sempre più efficienti e utilizzabili anche in impianti terrestri. Oggi, le celle solari per applicazioni spaziali sono prodotte con processi microelettronici complessi e costosi. Gli obiettivi del progetto sono incrementare l’efficienza dei pannelli solari fino al 40% e ridurre i costi di produzione. Raggiungere un’elevata efficienza a basso costo potrebbe consentire lo sviluppo di una nuova generazione di pannelli solari per usi domestici e grandi impianti terrestri, confermando l’energia solare come pilastro essenziale della transizione energetica e contribuendo a produrre quasi il 90% dell’energia mondiale da fonti rinnovabili entro il 2050.
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