Non solo in Sicilia: dall’impianto eolico off-shore di Taranto a quello di Rimini, dalla proposta di legge in Veneto per limitare il fotovoltaico in aree agricole fino alle moratorie di Abruzzo, Lazio e Calabria. In Italia ancora troppi sono gli ostacoli alla diffusione delle fonti pulite
Rinnovabili in Sicilia pari a zero e non solo. La direzione non ci pare quella giusta, quella che ci consentirebbe di parlare di una vera transizione ecologica. E il perché è presto detto.
La settimana scorsa, l’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, ha fornito il suo parere contrario alla realizzazione dei due progetti proposti per produrre energie rinnovabili nelle acque a circa 45 chilometri da Favignana, Marettimo e Levanzo: il primo prevede la realizzazione di un parco offshore di tipo floating, composto da 25 turbine; il secondo è un parco offshore di tipo galleggiante, con relative opere di connessione alla rete di trasmissione nazionale, costituito da 190 aerogeneratori.
E, sempre la settimana scorsa, il decreto legge Energia ha puntato sui giacimenti già attivi nel mare a sud di Gela per far aumentare la dotazione di gas nazionale e calmierare le bollette per le imprese energivore.
Un paradosso tutto italiano, se si considerano alcune delle motivazioni:
Il Canale di Sicilia – dice nella risoluzione proposta il deputato del partito democratico Nello Dipasquale – costituisce sito di rilevante interesse archeologico per la quantità e varietà di reperti sommersi.
Già nella scorsa legislatura, il Governo di Crocetta aveva detto no agli impianti al largo delle coste e ora dalla società Renexia informano che la risoluzione è stata votata sulla base del progetto preliminare dell’impianto Med Wind che è “ormai superato“. Nei giorni scorsi l’azienda ha inviato ai parlamentari delle commissioni Ambiente e Attività produttive dell’Ars la documentazione sul progetto, presentato al Mite, aggiornato e ha chiesto di potere essere sentita in audizione.
Nel tratto di mare individuato per la realizzazione del parco Med Wind – dicono da Renexia – i ricercatori non hanno individuato alcun sito di interesse storico e archeologico. Inoltre, secondo l’azienda la significativa distanza dalle coste consente di escludere impatti negativi sulle attività turistiche.
Ma lo stop dalla commissione, intanto, è stato unanime.
Eppure, a noi sembra chiaro che il rincaro delle bollette non si risolve attraverso una corsa al gas e al nucleare, ma puntando su fonti pulite, efficienza e autoproduzione.
Se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta venisse realizzato, l’Italia avrebbe anche già raggiunto gli obiettivi climatici europei, dicono da Legambiente all’indomani della pubblicazione del report di “Scacco Matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni”.
Una fotografia che inquadra non soltanto la Sicilia, ma anche tutto il resto di Italia.
Nell’Italia del sole e del vento, le rinnovabili faticano a decollare, anzi il più delle volte sono ostacolate da una burocrazia farraginosa, ma anche da blocchi da parte di amministrazioni locali e regionali, da comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle Sovrintendenze. A metterle sotto scacco matto sono normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. E la poca chiarezza è anche causa delle opposizioni dei territori che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie.
È quanto emerge dal report in cui l’associazione ambientalista racconta e raccoglie venti storie simbolo di blocchi alle fonti pulite: si va dal Veneto dove il consiglio regionale ha proposto una legge per limitare il fotovoltaico in aree agricole (contenendo la potenza installabile di impianti solari fotovoltaici su aree agricole fino ad un massimo di 200 kWp o 1 MWp, in base alla tipologia di area agricola interessata dall’impianto) ai casi dell’eolico offshore di Rimini, Taranto, Sicilia e Sardegna (Sulcis). Il primo, quello di Rimini, è contrastato da un’imponente azione NIMBY e NIMTO a livello regionale e locale, in particolare all’interno del Comune di Rimini, che, come effetto immediato ha portato ad un ridimensionamento dell’opera da 59 pale eoliche a 51, riducendo l’area interessata da 113 a 80 chilometri quadrati.
Lungaggini burocratiche e ostacoli ricorrenti sono stati registrati anche in Puglia per l’impianto eolico offshore di Taranto proposto nel 2008 a largo del porto della città, costituito da 10 turbine eoliche ciascuna da 3 MW, e che vede l’avvio dei lavori dopo ben 12 anni di opposizioni, prima da parte della Regione e della sovrintendenza in difesa del bellissimo “paesaggio dell’ex Ilva” e poi dell’Amministrazione tarantina.
Tra le 20 storie censite da Legambiente, ci sono anche i casi delle moratorie di Abruzzo, Lazio e Calabria. La prima su eolico e fotovoltaico, introdotta con la Legge Regionale n.8 del 23 aprile 2021, che prevede la sospensione delle installazioni non ancora autorizzate di impianti eolici e di grandi impianti fotovoltaici a terra, nelle aree agricole caratterizzate da produzioni agro-alimentari di qualità e/o di pregio paesaggistico-culturale. La seconda, quella prevista dal Lazio, riguarda l’ecolico: con l’articolo 75 della Legge Regionale 14/2021 si prevede la sospensione alle autorizzazioni ai nuovi impianti eolici e solari a terra. Ad ottobre, il Consiglio dei ministri ha avviato l’iter per impugnare la Legge Regionale poiché contrasta con la normativa statale ed europea e lede il principio di leale collaborazione fra Stato e Regionale. In Calabria, con un moratoria è stata disposta la sospensione di tutte le autorizzazioni per gli impianti eolici e gli elettrodotti.
Tutti questi ostacoli stanno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica. Un obiettivo preciso per mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo e che l’Italia con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni rischia di veder raggiunti non prima del 2100. Eppure, sottolinea Legambiente, se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, la nostra Penisola avrebbe già raggiunto gli obiettivi climatici europei.
QUI trovi il rapporto Legambiente completo.
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Fonte: Legambiente
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