Mentre il Governo italiano discute la reintroduzione di centrali nucleari "sostenibili", il Paese deve ancora gestire i rifiuti radioattivi prodotti fino agli anni '90. Nel Report ISIN si evidenzia la necessità di accelerare il condizionamento e la messa in sicurezza dei rifiuti esistenti, ancora conservati in strutture, per giunta, obsolete.
Mentre l’attuale Governo si esprime sulla possibilità di reintrodurre centrali nucleari “sostenibili”, l’Italia si trova ancora a dover risolvere i rifiuti radioattivi prodotti quasi mezzo secolo fa nel nostro Paese.
Anche qualche settimana fa il Ministro dell’Ambiente Picchetto Fratin, intervenendo alla Festa dell’Innovazione a Venezia, affermava – come riporta un video de Il Foglio – la possibilità di reintrodurre l‘energia nucleare all’interno del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima). Ironia della sorte, proprio qualche giorno dopo l’ISIN, l’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza sul Nucleare e la Radioprotezione, l’autorità italiana che si occupa di controllo in materia nucleare, ha presentato il resoconto annuale in Parlamento.
La Relazione riferita all’anno 2023 sulle attività istituzionali, tra cui il “decommissioning”, cioè lo smantellamento e l’iter per l’individuazione del deposito nazionale delle scorie. Si parla, quindi, delle scorie che venivano prodotte nel nostro Paese quando erano in funzione le centrali, prima del 1990.
Solo un terzo di queste è stato trattato. Si legge, infatti, nel report che:
In base all’ultimo inventario riferito all’anno 2022, però, solo il 30% dei rifiuti radioattivi presenti negli impianti nucleari (circa 9.347 mc su 31.159 mc) è stato già condizionato tramite inglobamento in matrici solide all’interno di manufatti qualificati atti ad isolare dalla biosfera i radionuclidi in essi presenti.
E sempre il report conferma che siamo in ritardo sulle lavorazioni
è necessaria un’accelerazione delle operazioni di condizionamento dei rifiuti radioattivi, cominciando da quelli più pericolosi che comportano rischi più significativi. Massima priorità deve essere assicurata, in primo luogo, al condizionamento per la definitiva messa in sicurezza di rifiuti liquidi, i cui progetti, nonostante la rilevanza della radioattività e del rischio, non sono stati ancora realizzati e persistono significative incertezze sulla strategia da seguire
I ritardi più grandi si hanno sul sito di Latina, per il recupero di materiali radioattivi degli anni ’90 derivanti dalla lavorazione di combustibile nucleare.
Le attività sono
necessarie per assicurare la gestione in sicurezza di rifiuti da trattare, attualmente conservati in strutture interrate all’interno del sito nucleare
Altra questione da dipanare, come riporta sempre il report, è la gestione del combustibile nucleare esaurito che in attesa di
essere trasferito per il riprocessamento all’estero, è ancora stoccato in Italia, in strutture ormai vetuste che impongono agli operatori responsabili di trovare celermente soluzioni alternative per la gestione in sicurezza e superare, in tal modo, le attuali criticità.
Abbiamo quindi materiale accumulato in edifici vecchi sul nostro territorio. Come quello del Deposito Avogadro, sito all’interno del comprensorio nucleare di Saluggia vicino Vercelli, fermato nel 1971
in attesa del trasferimento per il riprocessamento presso l’impianto di La Hague, che è rimasto bloccato anche nel 2023 perché l’Italia non ha potuto fornire alla Francia le garanzie richieste sui tempi di realizzazione del Deposito Nazionale
Paiono ancora molto, insomma, i problemi da risolvere e i ritardi da recuperare sul vecchio nucleare per poter pensare di riaprire una parentesi nuova nel nostro Paese.
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Fonte: ISIN
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