Eacop sta per East African Crude Oil Pipeline e potrebbe essere l’oleodotto riscaldato più lungo del mondo. Andrà a distruggere le riserve naturali, attraverserà oltre 200 fiumi per sfociare nell’Oceano Indiano e invaderà foreste di mangrovie e barriere coralline. Ecco perché va fermato
Una lunghezza di oltre 1.400 chilometri, quasi quanto la distanza lineare tra Vienna e Barcellona, attraverso più di 400 villaggi e una delle regioni più ricche di biodiversità del mondo: questo potrebbe essere l’Eacop – East African Crude Oil Pipeline – un oleodotto, che – se costruito – trasporterà il petrolio dal Lago Alberto in Uganda attraverso la Tanzania fino all’Oceano Indiano: da lì sarà esportato in tutto il mondo.
E non solo: si stima che l’Eacop emetterà ogni anno circa 34 milioni di tonnellate di CO2, pari a sette volte le emissioni annuali dell’Uganda e che aprirà la strada a un’ulteriore produzione di petrolio in Africa centrale, ad esempio nella Repubblica Democratica del Congo o in Ruanda.
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Per questo motivo, cinque gruppi di attivisti hanno citato in giudizio la società petrolifera francese TotalEnergies (TTEF. PA) per la seconda volta sui suoi progetti in Uganda e Tanzania in un tribunale civile di Parigi, dopo che un precedente tentativo era stato respinto a febbraio.
I gruppi francesi e ugandesi, guidati da Friends of the Earth France, accusano in particolare la compagnia energetica di non aver protetto le persone e l’ambiente dal suo sviluppo petrolifero di Tilenga e dall’oleodotto da 3,5 miliardi di dollari dell’Africa orientale (EACOP).
Per la precisione: la regione del Lago Albert in Uganda ha importanti risorse di petrolio e gas, stimate in oltre un miliardo di barili. L’Uganda ha voluto svilupparli nell’ambito dei progetti Tilenga, gestito da TotalEnergies, e Kingfisher di CNOOC. La produzione sarà consegnata al porto tanzaniano di Tanga tramite proprio l’oleodotto transfrontaliero, costruito e gestito dalla società EACOP.
Il processo
Mercoledì 28 ottobre inizierà l’udienza d’appello contro il colosso petrolifero presso la Corte d’appello di Versailles, in Francia. La causa contro il mega-progetto di Total in Uganda e Tanzania è intentata da due organizzazioni francesi (Friends of the Earth France e Survie) e quattro gruppi ugandesi (AFIEGO, CRED, NAPE/Friends of the Earth Uganda e NAVODA).
Un passo cruciale, dicono le associazioni, in questa prima azione legale nel suo genere basata sulla legge francese riguardo al dovere di vigilanza delle società transnazionali.
Questa legge – una novità storica sia a livello globale che nazionale – mira infatti a fare in modo che le società madri di società transnazionali possano essere ritenute responsabili per gli impatti delle loro attività in tutto il mondo. Crea un obbligo legale di prevenire i rischi di violazioni dei diritti umani e danni ambientali derivanti dalle loro attività, comprese quelle svolte dalle loro filiali, subappaltatori e fornitori. Nell’ottobre 2019, le sei organizzazioni hanno prima citato in giudizio Total per gravi violazioni del suo dovere di vigilanza in relazione a Tilenga (estrazione di petrolio nel cuore di un parco naturale in Uganda) e EACOP (gigantesco oleodotto riscaldato in Uganda e Tanzania).
Il 30 gennaio 2020 il tribunale civile di Nanterre si dichiarò incompetente a favore del tribunale commerciale e per questo non si pronunciò sul merito della causa, ma lo scorso marzo le sei organizzazioni hanno impugnato la sentenza.
Queste questioni procedurali aggiungono lunghi ritardi, a scapito delle popolazioni colpite, che si trovano senza mezzi di sussistenza, causando, secondo molte testimonianze, carestie e massicci abbandoni scolastici, dice Thomas Bart, un attivista di Survie.
Perché l’oleodotto va fermato
Sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU (IPCC) sia l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) affermano chiaramente che la costruzione di nuove infrastrutture per i combustibili fossili deve essere evitata a tutti i costi per raggiungere gli obiettivi internazionali di riscaldamento globale a +1,5°C.
Il progetto di questo oleodotto non è solo un rischio per il pianeta, ma vanno contate anche e soprattutto le 100mila persone sfollate per la sua costruzione, tutte costrette a lasciare le loro case. In teoria, riceveranno una compensazione finanziaria o saranno reinsediati, ma come dimostrano i rapporti, la compensazione è stata finora scarsa o inadeguata.
Il percorso dell’oleodotto, lungo 1.443 chilometri, interesserà quasi 2mila chilometri quadrati di aree protette, un quarto dell’habitat degli scimpanzé orientali e degli elefanti della savana africana, condannando alla delocalizzazione forzata oltre 12mila famiglie che abitano quelle terre ancestrali. Intere comunità locali perderanno le proprie terre. L’oleodotto attraverserà il bacino del lago Vittoria, passando tra corsi d’acqua grandi e piccoli, compreso il fiume Kagera. In Tanzania, esso si inoltrerà per sette riserve forestali e nella steppa di Wembere, un’area chiave per l’alta biodiversità. Lo stesso porto di Tanga, il terminal dell’oleodotto, confina con due aree marine protette ed ecologicamente sensibili
L’oleodotto, insomma, non potrà che rappresentare una ulteriore grave crisi ambientale e umanitaria di cui possiamo fare decisamente a meno.
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Fonti: Friends of the Earth France | Survie | Reuters
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