Investire nelle rinnovabili ci farebbe risparmiare tantissimo in termini ambientali ed economici e creerebbe migliaia di nuovi posti di lavoro. La conferma arriva da un interessante studio scientifico condotto dall'Università La Sapienza di Roma. Peccato, però, che l'Italia continui a preferire i combustibili fossili
Nell’ultimo anno e mezzo i prezzi del gas in Europa sono cresciuti in maniera vertiginosa, a causa dei rincari delle materie prime e delle conseguenze del conflitto in Ucraina. La grave crisi energetica, che i cittadini e imprese stanno pagando molto cara, avrebbe potuto rappresentare l’occasione per molti Paesi per iniziare ad investire concretamente nell’energia rinnovabile, ma – ahinoi – così non è stato. E l’Italia in questo senso rappresenta un vero e proprio caso di studio: potrebbe benissimo sostituire i combustibili fossili con energia pulita.
Questo cambio di direzione porterebbe ad una serie di numerosi vantaggi: oltre a renderci più indipendenti da nazioni come la Russia e combattere la crisi climatica, ci farebbe risparmiare tantissimo denaro in bolletta e creerebbe decine di migliaia di nuovi posti di lavoro. A dirlo è un recente studio apparso sulla rivista scientifica Journal of Cleaner Production e ripreso anche da Nature.
I vantaggi della decarbonizzazione in Italia: i numeri dello studio
A realizzare l’interessante studio due ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Astronautica, Elettrica ed Energetica dell’Università La Sapienza di Roma, che hanno voluto indagare su come il consumo di gas potrebbe essere ridotto nel nostro Paese nell’arco dei prossimi due anni, puntando sulle rinnovabili.
I risultati della ricerca parlano chiaro: la decarbonizzazione costa meno della diversificazione, come afferma l’autore principale Lorenzo Mario Pastore. Avvalendosi di uno strumento informatico ampiamente usato per l’analisi e la configurazione dei futuri sistemi di energia rinnovabile, gli esperti hanno ottenuto oltre 2000 scenari basati su vari mix energetici. Per ogni quadro sono stati riportati dei dati relativi al consumo energetico, ai costi e all’impatto occupazionale.
Dal loro studio è emerso che basterebbe un investimento di 20 miliardi di euro nel settore delle rinnovabili per ridurre il consumo di gas di quasi 40 TWh (terawattora), con un “costo di abbattimento” di 45 euro/MWh.
Invece, investire 80 miliardi in energia pulita significicherebbe portare ad una riduzione di 75 TWh/anno dei consumi di gas, ad un costo medio di circa 70 euro/MWh. Questo costo potrebbe sembrare elevato rispetto ai prezzi “normali” del gas naturale (che per anni sono stati inferiori a 20 €/MWh) ma non a quelli recenti: dalla primavera, infatti, sono stati superiori a 80 €/MWh, con punte fino a 120 €/MWh.
Oltre ad abbattere ben 21,5 megatonnellate di CO2 all’anno, un investimento pari a 80 miliardi di euro nelle rinnovabili avrebbe una ricaduta sorprendente a livello socio-economico. Secondo lo studio, nascerebbero ben 640.000 posti di lavoro a tempo determinato per la fase di produzione, costruzione e installazione dei sistemi rinnovabili e 30.000 posti di lavoro a tempo indeterminato per il funzionamento, la manutenzione e la produzione.
Insomma, sostenere sistemi come l’eolico, il fotovoltaico ma anche l’idrogeno significherebbe fare un grande regalo all’ambiente e agli italiani. Eppure, il nostro Paese ha deciso di andare nella direzione opposta e tornare indietro, aumentando l’estrazione di gas nelle acque del Mar Adriatico, mentre modelli virtuosi come le Comunità Energetiche incontrano ancora troppi ostacoli burocratici sul loro percorso.
Gli eventi recenti hanno evidenziato come l’Europa sia estremamente dipendente dai combustibili fossili importati e come gli scenari geopolitici possano influenzare drasticamente la politica energetica e l’economia dell’Europa. – sottolineano gli studiosi italiani – La diversificazione delle importazioni non può essere l’unica soluzione. In effetti, l’espansione dell’infrastruttura del gas (nuovi gasdotti e impianti di rigassificazione) rappresenta un investimento a lungo termine che contraddice la necessità di una rapida decarbonizzazione dei sistemi energetici.
Tali infrastrutture hanno normalmente una vita funzionale di diversi decenni e la loro costruzione rischia di vincolare l’Europa all’importazione massiccia di una fonte di energia fossile.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
F0nte: Journal of Cleaner Production
Leggi anche:
- Non dobbiamo usare il gas come “carburante di transizione” per passare dal carbone alle rinnovabili. Lo studio
- Comunità energetiche, la burocrazia rema contro: appena 16 CER su 100 hanno completato l’iter di attivazione presso il GSE
- Comunità energetiche contro il caro bolletta: l’autoconsumo collettivo in Emilia Romagna diventa legge