ENI, multinazionale dell’oil&gas in grado di accumulare ricavi per oltre 130 miliardi nell’ultimo anno, frutto di attività che nella maggior parte dei casi recano una grave impronta climatica, ha deciso di intentare una causa di risarcimento danni per diffamazione
Il colosso petrolifero ENI, una delle compagnie che più sono responsabili della crisi climatica, ha deciso di intentare una causa di risarcimento danni per diffamazione nei confronti di Greenpeace Italia e ReCommon, dopo la campagna a mezzo stampa e sui social media legata al lancio della “Giusta Causa”.
Lo scorso 9 maggio, insieme a 12 cittadine e cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon avevano notificato a ENI un atto di citazione davanti al Tribunale di Roma per l’apertura di una causa civile per i danni subiti e futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui ENI ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando a investire nei combustibili fossili.
Leggi anche: Sentenza senza precedenti! Il Consiglio di Stato dà ragione a Greenpeace, ecco cosa significa per ENI
Il lancio della prima climate litigation italiana contro una società privata ha avuto una vasta eco sui media internazionali, spingendo ENI a “reagire nei confronti delle due associazioni ambientaliste con un evidente intento intimidatorio“.
È paradossale che, proprio mentre l’Italia è devastata dagli impatti dei cambiamenti climatici, ormai sotto gli occhi di tutti in molte regioni del mondo, la più importante multinazionale italiana, partecipata dallo Stato, chieda un risarcimento danni a chi non ha fatto altro che sollecitare un reale cambiamento nelle politiche energetiche di una grande società che, continuando a investire sul gas e sul petrolio, minaccia il pianeta e la sicurezza delle persone. ENI, al momento, non ha quantificato le richieste economiche alle due associazioni ma, a quanto si legge nell’atto notificato a Greenpeace Italia e ReCommon, saranno superiori a 50 mila euro ciascuna.
Greenpeace Italia e ReCommon prendono atto della comunicazione di ENI, si legge in una nota stampa, che nega di aver intentato alcuna causa per diffamazione alle due associazioni, ma ribadiscono con forza che la mediazione obbligatoria richiesta da ENI costituisce premessa necessaria per l’instaurazione di una causa civile di risarcimento danni per diffamazione a mezzo stampa.
Se così non fosse stato, ENI avrebbe potuto intavolare una mediazione semplice. Quando lo scorso maggio Greenpeace Italia e ReCommon hanno intentato una “climate litigation” nei confronti di ENI, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, le due associazioni non erano tenute a esperire la mediazione obbligatoria, perché la loro azione legale non la prevede. Nell’azione di ENI, invece, l’oggetto della causa, cioè la diffamazione a mezzo stampa, la rende obbligatoria.
È dunque evidente l’intenzione non conciliativa e intimidatoria di ENI, che ha richiesto un risarcimento di almeno 50 mila euro a ciascuna organizzazione, nonostante il colosso petrolifero, nella sua risposta al comunicato stampa di Greenpeace Italia e ReCommon, abbia tentato di negare, o quanto meno contraddire, quanto si legge negli atti.
—
Vogliamo esprimere piena solidarietà a Greenpeace e Re Common per l’azione che ENI, con una causa di risarcimento danni per diffamazione, ha deciso di intentare nei loro confronti. Una multinazionale dell’oil&gas, in grado di accumulare ricavi per oltre 130 miliardi nell’ultimo anno, frutto di attività che nella maggior parte dei casi recano una grave impronta climatica, dovrebbe trovare altri modi per misurarsi con la società civile, anche con le critiche più severe che da quel mondo le possono venire. Di certo dovrebbe evitare iniziative legali che possano tradursi in una minaccia al dissenso, dal momento in cui il maggiore azionista di ENI stessa è lo Stato. Si rischia un grave cortocircuito democratico su un problema – il cambiamento climatico – che mai come in questi giorni appare drammaticamente evidente alla percezione di tutti i cittadini.
Con queste parole le organizzazioni Cittadini per l’Aria, Clean Cities Campaign, Ecco Think Tank, Legambiente, Sbilanciamoci!, Transport & Environment Italia, Valori e WWF Italia hanno commentato la notizia della richiesta di risarcimento danni mossa da ENI a Greenpeace e Re Common, in risposta alla climate litigation – la prima in Italia contro una società privata – che le due ONG hanno avviato contro il “cane a sei zampe”. Greenpeace e Re Common, con la loro causa civile, hanno chiesto che ENI sia obbligata a rivedere la sua strategia industriale, in linea con gli accordi di Parigi e i conseguenti obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
Fonte: Greenpeace
Leggi anche: