Due ricerche condotte dall'Università di Milano-Bicocca rivelano come produrre l'idrogeno molecolare in natura aprendo nuovi scenari sul fronte delle celle a combustibile e delle energie rinnovabili
Nuovi scenari si aprono sul fronte dell’idrogeno, risorsa che, pur essendo presente massicciamente in natura (si pensi alle molecole di acqua) non si era ancora mai riusciti a sfruttare del tutto per ricavarne energia per via delle difficoltà di produzione e lavorazione. Infatti, anche se ad oggi è ormai noto il procedimento che permette di produrre l’idrogeno molecolare da utilizzare come combustibile, ancora non si conosceva bene il procedimento attraverso il quale gli enzimi riuscissero a farlo in natura.
A svelare la “chiave del mistero” arrivano ora due studi condotti dai ricercatori del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Università svedese di Lund, pubblicati proprio questa settimana sul sito Journal of the American Chemical Society (http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/ja1008773; http://pubs.acs.org/doi/full/10.1021/ja909194f).
Gli scienziati, coordinati dal professor Luca De Gioia, coinvolto da oltre dieci anni nello studio di molecole naturali, hanno svelato con precisione il funzionamento dei ferro-idrogenasi, enzimi, capaci di catalizzare e produrre l’idrogeno in maniera molto efficiente. Il team dell’università milanese, in pratica, è riuscito ad illustrare dettagliatamente il meccanismo attraverso il quale queste molecole, utilizzando ioni di ferro, riescono “sia a produrre idrogeno molecolare, sia a comportarsi come delle vere e proprie celle a combustibile convertendolo in energia“.
A quanto pare due sarebbero gli aspetti chiave sulla chimica delle ferro-idrogenasi chiariti dalle ricerche: in primo luogo si è riusciti a dimostrare attraverso raffinati calcoli come quest’enzima possieda un atomo di azoto posizionato in modo funzionale al rapido trasferimento dei protoni verso l’area dell’enzima nella quale si verifica la produzione di idrogeno. Ma soprattutto si è fatta luce sulla correlazione tra questi enzimi e la presenza degli ioni cianuro per garantire l’efficienza della produzione di idrogeno molecolare e la sua trasformazione in energia.
«Far luce sul ruolo svolto dai vari componenti presenti nel sito attivo delle idrogenasi – dice Luca De Gioia, professore di Chimica Generale dell’Università di Milano Bicocca e coordinatore del progetto – permette di avere una migliore comprensione dei processi metabolici alla base della produzione biologica di idrogeno molecolare. Inoltre, dischiude nuovi e promettenti scenari per la progettazione di catalizzatori di nuova generazione e per il loro utilizzo nelle batterie a combustibile del futuro».
«Lo studio di questi enzimi – aggiungono Maurizio Bruschi e Claudio Greco, ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca che fanno parte del team – rappresenta un emozionante viaggio tra i processi metabolici che hanno accompagnato lo sviluppo della vita sulla Terra. Infatti, recenti studi hanno svelato che l’atmosfera del nostro pianeta conteneva idrogeno all’epoca della comparsa dei primi organismi viventi. La diffusione delle idrogenasi tra innumerevoli classi di organismi diversi, anche arcaici, testimonia la versatilità della natura nell’utilizzo delle risorse energetiche, un esempio di cui è importante fare tesoro».
Ma quale sono all’atto pratico le applicazioni e gli scenari che apre tale scoperta?
Sicuramente rappresenta una rivoluzione nel campo delle Celle a combustibile che finalmente possono diventare realmente ecosostenibili: una tecnologia questa che fino ad oggi ha stentato a decollare proprio perché, richiedendo l’utilizzo di metalli rari e costosi come ad esempio platino e palladio, diventava troppo difficile e oneroso l’utilizzo dell’idrogeno come fonte di energia. Elevati costi a parte, se per ipotesi, ad esempio si fosse voluto sostituire tutto il parco dei veicoli mondiali con veicoli alimentati a idrogeno sarebbe stato necessario una quantità di platino ampiamente superiore alle riserve planetarie.
Con questa scoperta, invece, diventa possibile la progettazione di celle a combustibile basate su metalli abbondanti e poco costosi come ad esempio il ferro. Oltre ai risvolti economici, i vantaggi sarebbero anche a livello ambientale essendo il reperimento di metalli preziosi fonte di inquinamento derivante dallo sfruttamento delle miniere. Ma non è tutto perché l’idrogeno non presente in natura allo stato molecolare deve essere per forza ottenuto mediante procedure chimiche o attraverso l’utilizzo di ingenti quantità di combustibili fossili, entrambi metodi che oltre ad esaurire risorse non rinnovabili, generano grandi quantità di emissioni di CO2.
Tutti limiti superabili con l’utilizzo di microrganismi come batteri e microalghe che sfruttano la reazione metabolica come quella delle idrogenasi in grado di abbattere completamente il rilascio in atmosfera di CO2.
Anche perché, secondo recenti stime, la produzione di idrogeno ammonterebbe oggi a 9 milioni di tonnellate all’anno ricavate per il 95% dal metano che però ha come contropartita per ogni kg di idrogeno ottenuto ben 9 kg di CO2 prodotti. La produzione di idrogeno dall’acqua ammonta correntemente soltanto al 4%.
Queste ricerche aprono invece nuove e interessantissime prospettive per lo sfruttamento delle celle a combustibile, non solo per le auto a idrogeno, ma anche altri svariati settori come le batterie per cellulari o le centrali elettriche.
Simona Falasca